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domenica, febbraio 11, 2018

Il fiato integrante

Torniamo ancora una volta sulla questione dei cosiddetti registri e del nostro assunto secondo cui essi esistono (e resistono!) in condizioni di normale istintività fisica, ma spariscono in condizioni di evoluzione artistica, quindi nella condizione in cui si raggiunga un canto perfetto. Come ho spiegato in decine di post, i due noti atteggiamenti cordali dipendono dal fatto che il fiato non ha alcuna motivazione per alimentare una fonazione perfetta di due ottave e oltre, dal momento che non ne ha neanche una per dare energia a un parlato di alta qualità su una estensione modesta, quindi figuriamoci un po'...! Pertanto resta assodato che i registri sono legati strettamente a una qualità respiratoria non comune. Viceversa noi constatiamo che normalmente il parlato è ben tollerato, cioè un parlato scorrevole e privo di difetti rimarcati, non provoca particolari difficoltà anche se praticato per tempi medio-lunghi. Il motivo è che il parlato è nella natura umana, per cui assimilato alle nostre istintività. Da questo può discendere la deduzione che se noi ampliamo il parlato alle zone della gamma vocale esterne a quella dove pratichiamo abitualmente la parola, siamo in grado di migliorare anche la respirazione alimentante, perché instilliamo nell'istinto un'esigenza che potrà essere assecondata, appunto perché l'uomo ha assunto nel dna il parlato come caratteristica peculiare. Questa deduzione però non risolve più di tanto. Se noi infatti ci limitiamo a esercitare il parlato su una porzione di gamma vocale più ampia, a un certo punto, salendo, ci troveremmo comunque in difficoltà, e da un certo punto non riusciremo ad avanzare se non ricorrendo praticamente a una declamazione, quindi molto forte, accentata e prossima al grido. Quando dico questo mi riferisco al nostro comune parlare spontaneo, quotidiano. Se partiamo da questo, noi facciamo capo a una respirazione di per sé di modesta qualità, quella respirazione relativa a quel registro cosiddetto di petto, che sfrutta solo una parte, quella "molle", più flessibile, della corda, trascurando quella più tenace e impegnativa, che riserva a occasioni particolari e per cui non è in grado di sviluppare qualità (situazioni di difesa, pericolo, ecc.). Nella donna c'è la possibilità di esercitare anche un parlato sulla corda di falsetto, ed è cosa da fare assolutamente, ma resterebbe aperta la questione di come integrare le due modalità. La soluzione c'è, e volendo la si può trovare già tra le righe di quanto ho scritto.
Infatti ho sottolineato che la mossa poco utile sarebbe quella di esercitare un parlato comune, ma noi abbiamo la possibilità di passare a un parlato di miglior qualità, più espressivo, più corretto nella comprensibilità, nell'accentazione, nella varietà, nell'uso delle dinamiche, dei toni, ecc. Inoltre un parlato di modesta fattura è contraddistinto da un pulsazione continua, mancanza di legato e da un movimento frequente di punti di sonorità (alcune sillabe più avanzate, altre più interne), che in molti casi rende anche non facilissimo percepire tutto quanto viene detto. Anche questa è una limitazione respiratoria, e dunque il miglioramento di queste caratteristiche, che già di per sé richiede solitamente tempi non brevi, è in grado di sviluppare significativamente il livello della respirazione. Ma a questo punto dobbiamo anche inserire l'intonazione. Questa come sappiamo è la "manovra" che può rendere tutto più difficile, ma non lo è se chi si esercita lo fa con semplicità e cercando di non discostarsi dal parlato "qualificato", cioè mantenendo la sincerità e la pienezza di significato di quanto dice, ma esprimendolo anche con le giuste inflessioni, accenti, ecc., morbidezza e costanza, omogeneità, senza che questo - nel modo più assoluto - dia luogo a monotonia, meccanicità, ripetitività senza direzione. Queste due pratiche (cioè il parlato qualificato con e senza intonazione o melodia), esercitate indipendentemente e poi congiuntamente, provocano senza dubbio uno sviluppo della qualità del fiato indirizzato in esclusiva a questo ruolo, cioè "far suonare" le corde vocali con omogeneità e ampia flessibilità (con anche uno sviluppo quantitativo, molto più diluito nel tempo rispetto a tecniche respiratorie legate alla fisiologia, non prettamente relativizzate alla fonazione e al canto). Questa crescita andrà a coinvolgere senza la necessità di una piena consapevolezza, tutta la corda vocale, quindi annullando piano piano (ma neanche tanto) lo "scalino" esistente in natura tra le due posture cordali. Ecco dunque che già dopo poche lezioni, se non ci sono carenze molto evidenti, soprattutto nelle cantanti donne si riesce a percorrere oltre un'ottava, dalle note più basse e quello medio-alte, senza alcuna differenza di timbro, colore, giustezza della pronuncia, con quasi sempre una certa perplessità dell'allieva che non riesce più a comprendere bene se si trova in petto o falsetto. La sua coscienza dovrà trasformarsi (evolversi) nella percezione di una corda unica su tutta l'estensione dove la pronuncia e l'intonazione sono solo un flusso mentale, e non vi sono interventi volontari né muscolari né di altra matrice fisica.


2 commenti:

  1. Grandissimo Fabio.

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  2. Per quanto mi riguarda il percorso è impegnativo ma appassionante; mi sento di dire che ci vuole coraggio. Il coraggio di abbandonare la vecchia strada per una nuova avventura che ha una grande meta: il canto artistico. Ciò premesso, svilupperò il parlato sostenuto dal fiato, non spinto, non premuto ma leggero. La voce è fuori e devo impadronirmi di questa consapevolezza.Solo allora riuscirò ad accarezzare, a godere della corretta emissione, appoggiata sul fiato; ecco che le emissini istintive si trasformeranno in qualcosa di più artistico. Grazie per il tuo costante impegno, per l'amore e la dedizioni che infondi nei tuoi insegnamenti.

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