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sabato, giugno 10, 2017

Il ponte d'aria

Dato per assodato ... (occorre entrare nell'ordine di idee... ) che la voce non risponde a logiche meccaniche, ovverosia ancora, pur riconoscendo che come tutto il nostro corpo, affinché avvengano determinati procedimenti si verificano modificazioni muscolari, tendinee, cartilaginee, le quali peraltro non sono da attivare volontariamente in quanto la nostra mente è del tutto padrona dei sottili giochi di coordinamento tra organo uditivo, volontà e organi produttori (fiato compreso), le persone si chiedono come possono avvenire tutta una serie di adattamenti necessari alle esigenze canore e musicali, tipo agilità, intensificazioni, cambi di vocali o sillabe, ecc. se non facendo muovere qualcosa. Nella nostra mente razionale e istintiva, che basa il proprio funzionamento rapportandosi a un corpo fisico e dal funzionamento fisiologico e quindi meccanico, l'idea di "lasciar scorrere" è poco comprensibile, così come l'idea che la voce possa diventare molto sonora senza necessità di spingere e premere, come avviene urlando. Tutto questo richiama un pensiero piuttosto antico, che prese il nome di "canto sul fiato", espressione tanto bella quanto poco utile nella pratica se non si comprende cosa significa. Tutti gli autori e gli insegnanti la citano e ne danno una propria spiegazione, ma ovviamente non esiste una spiegazione oggettiva che metta tutti d'accordo. Molti dicono che la voce sta "sul" fiato come se fosse separata dal fiato e galleggiasse come una barca (o premesse) su di esso. Da qui si può sviluppare un interrogativo: dove nasce la voce? Se la voce fosse un'entità materiale davvero separata dal fiato e su di esso poggiante, come molti vorrebbero, potrebbe aver senso farla nascere in un punto non troppo preciso ma comunque interno alla cavità orale. Poi spiegare tutta la formazione delle vocali, delle intensità, ecc., è un'impresa più che ardua. Ma questo è un percorso che non si può nemmeno iniziare a seguire, perché come si fa a concepire la voce come un'entità materiale che galleggia sul fiato? Non solo non risponde ad alcun requisito scientifico, ma è del tutto illogica e indimostrabile. Dunque occorre ripartire da capo con una risposta sensata. La voce E' FIATO, che un organo, le c.v., hanno trasformato, tutto o in parte, in suono. Dunque non esiste una separazione; esiste una soglia, che è la stessa rima glottica, o corde vocali, sotto la quale il fiato è un fluido gassoso fluido, sopra diventa una catena di addensamenti e rarefazioni (quindi una vibrazione) della stessa sostanza aeriforme, che noi percepiamo come suono. Quando noi produciamo suoni "anonimi", cioè senza richiedere una specifica qualità (ad esempio quando, talvolta, sbadigliamo), facciamo una emissione fluida che non si origina in un punto particolare, cioè è fiato sonoro. Anche quando parliamo scorrevolmente avviene lo stesso procedimento, che non richiede alcun pensiero (se non nel significato che vogliamo attribuire a ciò che diciamo), alcuna azione volontaria. Nel momento in cui, invece, intendiamo produrre con determinate caratteristiche, una vocale, la spontaneità scompare, e ci poniamo il "grande problema" di dove attaccare. 2^ questione: il suono è una vocale? Si dirà, giustamente, di no, che tutt'al più una vocale è un suono. Giusto, ma come si fa a differenziare un suono da una vocale? E qui entriamo in una materia più profonda. Se pensiamo che la vocale sia SOLO un suono con una forma particolare, siamo fuori strada. Se così fosse esisterebbero in commercio chissà quanti strumenti in grado di generare voce. Così non è, e il motivo è che per generare la voce occorre una CONOSCENZA, ma non una conoscenza qualunque: la più elevata, quella umana (che, comunque, non ci permette di creare un oggetto con le stessa caratteristiche, neanche vagamente). Essa è in grado di far compiere alla catena organica fiato-laringe-articolazione una serie di suoni di molto più elevata conoscenza, in grado, cioè, di essere recipiti e trasformati in messaggi estremamente complessi, che vanno dalle semplici comunicazioni agli affetti, alle verità, all'estetica, ecc., e quindi possono ambire al regno dell'arte. Quindi la voce è conoscenza, è solo grazie ad essa che noi possiamo superare la elementare rozzezza del suono (è lo stesso discorso che riguarda la musica, che non è suono, ma utilizza e umanizza i suoni per comunicare ad un livello che impropriamente possiamo definire trascendente). Detto ciò, e dato per assodato, a questo punto, che la voce è fiato conoscente, torniamo alla domanda: come si può cambiare uno o più parametri? La semplice risposta è: col fiato. Ma come si fa a cambiare qualcosa, cantando, mediante il fiato? Il problema è che difficilmente riusciamo a percepire il flusso aereo cantando, perché il suono ci appare di più come qualcosa di fisico, materiale ed ecco quindi le considerazioni sovraesposte. E' quindi necessario assumere una coscienza per poter operare dei cambiamenti, siano di note, siano di vocali o entrambe le cose. Siccome solo con un mutamento respiratorio noi possiamo ambire a cambiare nota e/o vocale in modo perfetto, abbiamo la necessità di comprendere questo procedimento. Tra una nota e l'altra e tra una vocale e l'altra ci sono un'infinità di sfumature; ognuna di queste sfumature richiederebbe un adattamento respiratorio infinitesimale. Questo attiene al cosiddetto "portamento", che è infatti un esercizio molto utile, ma richiede già una certa maturità o comunque un controllo molto attento da parte dell'insegnante.
Poniamoci ancora una domanda: nel momento in cui noi cantiamo una vocale, considerando che quando parliamo diciamo ogni cosa una sola volta (ì, è, e, da, ecc.) cosa succede quando cantiamo, cioè quando "allunghiamo" una vocale? In cosa consiste quell'allungamento? è una infinità di ripetizioni della vocale stessa, oppure no? Sappiamo bene tutti che non è così, perché la ripetizione la possiamo produrre volontariamente (il ribattuto o trillo "antico") e non è molto facile e comunque ben percepibile. Quindi la vocale viene detta una volta sola, all'attacco. Cosa succede subito dopo? In genere la persona preme, spinge per farla proseguire, come se un "pistone" la estrudesse. Questo è un errore piuttosto importante e comune. Quella pressione di fatto impedisce alla vocale di vivere liberamente, spandere nell'ambiente al meglio delle possibilità, correre, svilupparsi. Quindi, appena detta la vocale, occorre lasciarla libera, eliminando totalmente ogni residuo di pressione. Naturalmente subentrano subito domande, dubbi, timori: "ma se non premo il suono cade o cala", "se lascio andare non si sente più", ecc. ecc. In effetti all'inizio può essere così, perché non si riesce a distinguere l'espirazione sonora dalla pressione, ma piano piano, con la guida, ci si renderà finalmente conto che la spinta è solo un ingombro controproducente e che la voce vera non ha alcun bisogno di essa, e che si sviluppa pura e meravigliosa solo grazie all'espirazione, cioè al flusso aereo che scorre senza alcuna spinta. Quel flusso successivo alla determinazione della vocale (o sillaba), lo definisco "ponte di fiato", ponte in quanto unirà la prima vocale o sillaba alla successiva, ovvero una nota all'altra, nel più piacevole dei collegamenti aerei. Per la verità, poi, occorre dire che anche l'attacco non sarà più da considerare come qualcosa di duro, di impattante, ma nascerà già sullo stesso ponte (come esistesse già e noi ci inserissimo nel suo flusso), senza alcuna spinta e pressione, e questo sarà il vero e unico CANTO SUL FIATO. Tutte le altre sono chiacchiere.

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