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venerdì, dicembre 30, 2016

Come una stella cometa

Staccare la voce dal corpo e librarla nello spazio infinito, senza massa. L'aria (atmosferica) è il mezzo che la sostiene, così come sostiene un aereo, un aliante o un uccello in volo libero. La voce non è più "nostra", non è un oggetto e soprattutto non ci appartiene più; dal momento in cui è nata, se è arte, appartiene all'universo e noi dobbiamo lasciarla andare, abbattendo il senso del possesso, dell'appartenenza fisica e terrena. Fin dal suo sbocciare dobbiamo già distaccarcene, soppesando la sua inconsistenza materiale (se ne ha dobbiamo lentamente ma inesorabilmente abolirla), separandola da quella massa vibrante di poco valore che ne fornisce una più che sufficiente molecola di materia. Solo un tenue flusso aereo, morbido, inconsistente ma luminoso e gioioso come polvere di stelle, come un'argentina coda di cometa si diffonderà magicamente avanti a noi, corpuscoli sonori come microscopici campanelli, come purissimi armonici di un'arpa celeste: con quello si canta, non altro! Cantare magistralmente vuol dire "non cantare" col corpo, e in un certo senso nemmeno con la mente, inteso come pensiero attivo e volitivo; è un pensiero sublime, implicito, frutto della conoscenza più alta dell'uomo, che non si impara, la si accende, la si riconosce, E'. Il nostro canto sublime è come già esistesse davanti a noi, basta una cellula, un bip immaginario per accenderlo, infuocarlo. Quando questo avviene, portiamo tutti su quella scia, basta recitare con sincerità e naturalezza ciò che è già scritto, e farsene portatori neutrali, trasparenti, come trasparente deve essere la vocalità. Un grande canto è come un cielo stellato in un'armoniosa notte limpida e serena.
Buon anno!

sabato, dicembre 24, 2016

Liberarsi della voce

Il titolo potrà apparire assurdo, ma si comprenderà dopo l'argomentazione.
Cosa significa libertà? La libertà è allontanare qualcosa da sé. Siamo tutti "schiavi" di qualcosa o qualcuno; può essere allontanare un dittatore, un oppressore (individuale o sociale), può essere allontanarsi da Leggi, regole e regolamenti, comportamenti, usi e costumi. In molti casi, soprattutto in età giovanile (ma abbastanza frequentemente anche matura e persino avanzata) la libertà viene definita "vivere", e corrisponde al fare acrobazie e azioni ad alto rischio, come buttarsi con paracaduti, parapendio, bongee jumping, sci montano estremo, ecc. Nella maggior parte dei casi questo significa allontanare da sè una legge cui tutti sottostiamo: la forza di Gravità. Volare o comunque librarsi nell'aria, pur seguendo quella legge, dà a chi vive quella condizione, l'idea o l'illusione di aver superato la condizione limitante del normale uomo, e di ergersi, almeno per quell'attimo ("fuggente") a una condizione divina. Infatti l'idea dell'idolo, in quasi tutte le religioni, è quella di un essere trascendentale, puro spirito, che quindi non deve rispondere alle limitazioni del corpo e alle leggi fisiche. Da un lato quindi abbiamo tutte queste situazioni che in modo più o meno ingegnoso aiutano l'uomo a vivere stati di libertà, allontanando regole fisiche imposte dalla nostra condizione terrestre. In questa condizione è difficile trovare un riferimento a una qualche forma di Verità. Perché dico questo? Perché queste forme di libertà in realtà celano quasi sempre delle ricadute: forme di dipendenza, necessità di allenamenti per tutta la vita, salvo problemi di salute (che si verificano quasi sempre comunque in qualche forma), problemi di coesistenza con gli altri esseri viventi... L'Arte è, viceversa, o dovrebbe essere, se non viene mal interpretata, una pura e reale forma di libertà e in questo senso ci porta verso una verità tangibile. L'uomo pittore non può disegnare e dipingere fenomenalmente se non si libera della propria mano, ovvero dalla sua schiavitù fisica, mai potrà realizzare con assoluta perfezione linee, forme, colori... Così uno scrittore come potrà rendere la verità di tanti sentimenti, di pensieri, emozioni e altre astrazioni se non si libera dalla limitatezza delle parole e dei linguaggi verbali? Gli esempi possono essere tantissimi, ci arriva facilmente chiunque. Solo la liberazione da questi legami può dar modo di creare arte, e da quel momento si crea un collegamento diretto con il nostro essere spirituale e dunque con una coscienza collettiva profonda e vera. Solo questa condizione permette di liberarsi anche da ogni dipendenza. Non c'è più necessità di allenamento, non ci sono condizionamenti psicologici, mentali, fisici; diventa una Natura nuova e autenticamente nostra (lo è già, ovviamente, ma ci è sconosciuta). Ma nel canto di cosa ci dobbiamo liberare? Non è così immediata la risposta, perché la voce in sé è qualcosa che non esiste, è frutto di un insieme di attività, un processo che si articola in un tempo, per quanto quasi istantaneo. Ciò che ci appesantisce, che grava con il suo peso e con le proprie caratteristiche native naturali, è il suono. Il suono è quel fenomeno intermedio al processo che, per la sua natura eminentemente fisica, è perennemente a rischio di essere scambiato per voce (capita lo stesso nella Musica tout cour). Il fiato crea il suono appena sopra le corde vocali. Questo suono è la materia prima per la produzione della voce, ma esso NON E' la voce, è una rozza e limitata vibrazione, che non deve essere manipolata e gestita volontariamente, perché ciò sarebbe possibile solo per via muscolare. Noi invece dobbiamo lasciare che il suono resti del tutto autonomo e indipendente, che si dispieghi come deve in base a input mentali altrettanto autonomi e inimmaginabili (potremmo dire che più che cantare sul fiato, si canta "sopra" il suono, ovvero staccati, galleggianti sul suono). E' una sorta di processo a ritroso: noi sappiamo che vogliamo una determinata parola o vocale, e possiamo immaginarla facilmente, fuori di noi; essa "comanda" a quanto sta sotto, cioè fiato e suono, di atteggiarsi in un determinato modo per poter dare QUEL risultato fonico. Quando, moltissimo tempo fa, la voce la si educava esclusivamente CON la voce, e non cercando di andare a modificare il suono, si poteva assistere alla celebrazione della più pura e gioiosa arte vocale. L'orgoglio, il narcisismo, l'ego smisurato, ci portano a violentare le componenti fisiche che nessun sublime risultato possono darci, se non consentiamo la libertà, ovvero la liberazione. I più pensano che se non agiamo in modo prepotente sul fisico, e dunque sul suono, la voce non potrà assumere quei caratteri di potenza e grandezza che consentono poi di essere sentiti in un grande locale. E' totalmente, assolutamente falso! L'ampiezza della voce, non del suono, consentono le più grandi prestazioni, con ricadute nulle sul fisico. Come ci accorgiamo se stiamo davvero lavorando sulla voce e non sul suono? dalla coscienza che si sviluppa sull'uso del fiato. Praticamente è come "saltare" la concezione del suono (altro che "palla di suono!!!"), è come se il fiato diventasse immediatamente voce fuori di noi, senza alcunissima spinta e pressione, galleggiando, con la sola percezione della pronuncia perfetta. Il fiato si "condensa" in voce, si amplia, si intensifica fino al massimo delle possibilità, si rarefà fino all'estremo, mantenendo ricchezza e sonorità ampie senza alcuno scalino, senza alcuna difficoltà fisica, pura volontà. Come parlare (bene). Potremo poi dire in ultimo estremo paradosso, che ci liberiamo anche della voce, estromettendola.

domenica, dicembre 18, 2016

"Alfin... respiro"

Non tutte le metodologie (col termine "scuole" mi pare di fare una concessione eccessiva) di canto hanno come elemento chiave il fiato, la respirazione. Quando approdai alla scuola di Mario Antonietti sentii e vidi, dagli appunti, che il m° puntava pressoché tutto sulla respirazione, ma d'altro canto non ne parlava e non ne scriveva molto. Le prime superficiali letture degli appunti mi fecero l'impressione che più o meno dicesse le stesse cose degli altri. In quel periodo lavoravo nel coro del Regio di Torino e viaggiavo due, se non quattro, volte al giorno in treno, mediamente quaranta minuti ogni volta; avevo sempre con me gli appunti, e li leggevo ossessivamente. Fu grazie a quelle "ripetizioni", che proprio leggendo e riflettendo, un bel giorno mi si accese una luce. Avevo compreso, almeno a parole e nel pensiero, che in questa scuola il ruolo del fiato e tutto quanto vi ruota attorno ha una considerazione diversa dalle altre, o perlomeno dalla maggior parte delle altre. Il m°, ogni volta che leggeva o sentiva ciò che accadeva in altre scuole in relazione al fiato e alla respirazione, scuoteva la testa, più deluso che critico. Una frase fondamentale era "continuano a parlare di fiato e di respirazione, ma non si rendono conto che parlano di quella fisiologica". Detta così può indurre a convenire oppure no! Infatti uno dei punti di scontro con i critici di questa scuola è: se non è quella fisiologica, a quale altra ci possiamo riferire? Cercherò di spiegarlo con qualche esempio.
Quando il nostro sistema istintivo e di difesa avverte che abbiamo bisogno di più ossigeno nel sangue, provoca una accelerazione respiratoria. Se aumentiamo il passo camminando o ci mettiamo addirittura a correre, se facciamo una scala piuttosto lunga o irta, se dalla pianura passiamo a camminare in salita, se solleviamo pesi, lanciamo oggetti o facciamo comunque sforzi... in tutti questi casi, e forse anche altri che ora non mi vengono in mente, il nostro ritmo respiratorio accelera (e pure il battito cardiaco). Non è un fatto volontario, succede e basta, ci viene il "fiatone". Possiamo poi disquisire a lungo sulle differenze tra soggetti, differenze nel tempo, ecc., ma il fatto è evidente e incontestabile. Ora, tutti coloro che cantano dicono che per cantare ci vuole più fiato, e dunque la maggior parte di coloro che insegnano canto avendo come presupposto che ci vuole molto fiato, iniziano la propedeutica al canto, e molte lezioni, con esercizi di respirazione. "Gonfia la pancia", "butta il fiato in fondo alla schiena", "premi in fuori", "allarga la base delle costole" oppure "gonfia il torace", "premi con gli addominali - se non dall'inguine -", "stringi i glutei", "esercitati mettendo dei volumi sulla pancia e non farli scendere", e via dicendo. Tutte cose che possono avere qualche utilità, ma talvolta possono anche portare a difetti vari, quindi che sarebbe bene svolgere solo nel momento in cui si ha davvero coscienza di ciò che stiamo facendo e con quale scopo. Cosa c'è che non va, cioè perché non approviamo, per lo meno generalmente, questo modo di agire? Torniamo a quanto detto poco fa: il corpo chiede volontariamente il fiato di cui ha bisogno per le sue esigenze... allora qui i casi sono due: 1) o nel canto questo non succede, e dunque non ce n'è davvero necessità, e quindi è inutile fare esercizi che ci riempiono d'aria che poi non sappiamo come impiegare, oppure 2) ce n'è necessità, ma il nostro corpo non avverte questa esigenza e dunque noi continuiamo a respirare normalmente (e quindi ecco che gli insegnanti ci inducono a prendere quell'aria in più che spontaneamente non assumiamo). C'è però anche un altro punto da non sottovalutare. Quando abbiamo "fame" d'aria, il ritmo respiratorio aumenta. Qui è il contrario, cioè il ritmo respiratorio deve diminuire, in quanto le "prese di fiato" si distanziano e anche di parecchio, rispetto la normalità (e non aumenta il battito cardiaco), perché, se succedesse, soprattutto per l'emotività, sarebbe un po' un guaio!. Domanda: è vero che nel canto, perlomeno quello artistico-classico, c'è bisogno di più fiato? Di solito la risposta è sì, ce n'è bisogno perché le frasi sono lunghe. Il che può essere vero, non sempre, ma questa è la risposta meno pertinente, perché riguarda aspetti esecutivi riferiti a un periodo maturo del cantante. Quindi perché appena si entra in una scuola di canto si dovrebbero fare esercizi che riguardano aspetti che troveranno applicazione dopo molti mesi, se non anni? Allora il fiato serve ad altro? certo che sì; riguardano aspetti essenziali della voce cantata artistica, cioè la capacità e le possibilità di imprimere al suono vocale caratteristiche di velocità, ricchezza sonora, espansione, che normalmente non utilizziamo. Qualcuno potrebbe definire questo "potenza", ma è sbagliato, almeno psicologicamente, perché induce a spingere, a dare pressione al fiato (quindi una condizione esterna al fiato), mentre è tutto il contrario. Indurre pressione, quindi spingere, significa mettere il nostro organismo in una condizione istintiva che possiamo definire di "sforzo", quindi o reagisce perché non accetta il carico eccessivo, o pensa di aiutarci creando quella condizione di apnea che si verifica ogni volta che facciamo uno sforzo. Ecco perché riteniamo fortemente negativa quella caratteristica, particolarmente tipica delle metodologia affondista, che invita a replicare lo sforzo "da bagno". Lo sforzo, anche minimo, tende subito a creare una chiusura glottica, il che è evidentissimamente antivocale. Allora, il nostro obiettivo qual è, e quale dovrebbe sempre essere? quello di indurre il nostro organismo a richiedere un fiato adeguato alla necessità nel momento in cui cantiamo, non per durare di più (o perlomeno non solo o tanto per quello) ma per consentire una produzione vocale di miglior qualità ed efficacia sonora (che è scorretto definire pressione o spinta). Questa esigenza vocale non si può ottenere facendo esercizi di respirazione fisiologica, cioè basata su inspirazioni e movimenti muscolari qualunque essi siano. Noi dobbiamo educare, o meglio ancora "disciplinare" il nostro fiato e raggiungere un'arte respiratoria relazionata al canto, o meglio ancora all'emissione purissima della voce, atta al canto artistico. Qui torniamo a quanto abbiamo scritto almeno qualche decina di volta in questo blog, cioè iniziare a sviluppare un'esigenza partendo dal parlato, che se fosse quello comune non richiederebbe nulla di più! E' quindi evidente (salvo a chi proprio non l'intende) che dovrà essere un parlato più curato in OGNI carattere, cioè perfetta pronuncia delle vocali (con i giusti accenti), senza dimenticare le consonanti, perfetta pronuncia sincera, vera, delle parole, fraseggio ben articolato e con individuazione degli accenti tonici, fraseologici; ritmi, caratteri, registri (non in senso vocale, ma psicologico-emotivo, registro discorsivo, drammatico, allegro, malinconico, ecc.). Alternare il parlato semplice, già in fase di sviluppo, con quello intonato su una o più note. Si renderà il processo sempre più ampio e complesso (ma SEMPRE partendo dal semplicissimo, minimo, che deve essere perfetto, se si vuole proseguire) fin quando (e la cosa potrebbe richiedere moltissimo tempo) il nostro organismo avrà compreso che questa condizione è una nostra esigenza che richiede QUELLA respirazione (indescrivibile, inimmaginabile), che noi non possiamo e non dobbiamo controllare fisicamente e neanche mentalmente, ma che è potenzialmente in noi e di cui possiamo diventare COSCIENTI, non tanto in senso polmonare, diaframmatico posturale (che acquisiscono però un ruolo nel tempo), ma vocale, cioè noi controlliamo la respirazione artistica tramite l'emissione stessa. Cioè è come dire che il ginnasta non controlla direttamente la respirazione, ma tramite il modo di condurre gli esercizi stessi, ribadendo, però, che per loro si tratta sempre di una respirazione fisiologica, quindi il paragone può starci, ma considerando la differenza. Il fiato per il cantore ha una caratteristica INTERNA al fiato, implicita, differente da quella fisiologica che viene gestita esternamente, cioè dalla muscolatura e ossatura. Ecco perché le mie sollecitazioni sono maniacalmente volte a far diminuire fino a sparire tutte le azioni pressorie. Finché sussistono condizioni fisiologiche, sarà difficile commutarle con quelle artistiche, occorre proprio una transizione "epocale" di una parte vitale di noi stessi, che deve anche rendersi conto che non cessa il suo ruolo ossigenante, conditio sine qua non per poter dar adito a cambiamenti.

venerdì, dicembre 16, 2016

Del piano 2: i salti

In prosecuzione al post sul "piano", mi pare buona cosa aggiungere alcune considerazioni sui salti, inerenti lo stesso argomento.
Se già l'effettuare una scala porta quasi tutti a crescere in modo eccessivo e a sollevare la base del fiato (e/o, per reazione, a premere verso il basso), la cosa assume caratteri ancora più estremi quando si fanno salti di intervalli più ampi, specie dalla quarta in su. In primo luogo c'è un fatto psicologico, per cui il compiere un salto musicale verso l'alto porta istintivamente a spingere e a intensificare in modo estremo durante l'ascesa (poi ci sarebbe anche da soffermarci sui "colpi" che si danno durante queste operazioni, che sono dannosi) oppure, al contrario, ad abbandonare durante le discese. Ribadendo dunque quanto già esposto nel precedente post, suggerisco a coloro che incontrano difficoltà o che comunque avvertono qualche disagio nel compiere salti, da un punto di vista vocale, di "spianare la strada", ovvero avvertire che la nota più alta nel pentagramma, da un punto di vista vocale si trova sullo stesso piano della più bassa. Questo dovrebbe comportare automaticamente anche una riduzione dell'intensità. Molto interessante e utile è anche l'esercizio opposto, che si presta anche ad altre osservazioni. Se infatti eseguo una prima nota centro acuta e cerco di mantenere quella più bassa sullo stesso piano, già dovrei avvertire una diversa esigenza respiratoria, cioè la nota più bassa, più avanti della prima se eseguita complanarmente, richiederà più fiato, e questo è già un risultato interessante. Ma la cosa assume ancora più interesse se la nota più alta la eseguiamo in falsetto-falsettone, cioè senza forza, senza pressione, ed eseguiamo quella più bassa con la stessa vaporosità, leggerezza. Adesso vediamo ancora un particolare non di poco conto: come ci comportiamo TRA le due note? E' possibile eseguire uno stacco, oppure un portamento o qualcosa di intermedio. Qual è il pericolo più frequente e serio? quello di spingere, cioè interpretare l'aumento di portata respiratoria come una necessità di pressione da aiutare dal basso e da dentro. Non dobbiamo mai metterci nella condizione di voler AIUTARE il fiato, perché questo si tramuterà sempre in  spinte e pressioni indebite. Per prima cosa è bene eseguire il salto staccando, e quindi ripetendo la vocale sulla seconda nota, con precisione, davanti alla prima, "gettando", quindi fornendo il giusto fiato (meglio non fare salti troppo accentuati). In questa fase possono crearsi molti difetti, perché nel salto è possibile che si cerchi un punto d'appoggio nella mandibola se non addirittura sulla laringe, mentre tutto deve avvenire nella vaporosità del fiato sospirato. Il tentativo di eliminare ogni contributo muscolare, fibroso, incontrerà non pochi ostacoli, che si riescono a superare solo TOGLIENDO, cioè semplificando, alleggerendo, sublimando. Altra questione, già affrontata nel post precedente, ma è bene ribadire. Se non si sa ancora attaccare una vocale con leggerezza, seppur con precisione e perfetta pronuncia, è importante che immediatamente dopo l'attacco non si continui a "spingere" come con un pistone! E' fondamentale rilassare e alleggerire, diminuire volume e intensità e NON AUMENTARE prima di aver eseguito la seconda nota, il che non significa non alimentare con la necessaria quantità di fiato (cioè non trattenere, non chiudere, ecc.).

domenica, dicembre 11, 2016

Del "piano"

Un altro interessante gioco di parole. Quando diciamo "piano", in musica, intendiamo pressoché sempre limitare il volume, l'intensità. Spesso io intendo un'altra cosa: mantenere "il piano", cioè non pensare a una serie di note che si muovono verso l'alto o verso il basso, come fosse un piano inclinato, cioè che sale, come andare in montagna, o in discesa. Il "piano vocale" è da considerarsi, per l'appunto, pianeggiante, cioè orizzontale. Le varie vocali che si susseguono su varie note, sono da considerarsi complanari, come un sasso che rimbalza in uno stagno. L'idea di "alzare" il suono quando si alza il tono non solo è sbagliato, ma molto controproducente, perché di fatto si alza la base del respiro e, in sostanza, si "spoggia". I due termini, cioè il piano dinamico e il piano fisico, non sono del tutto disgiunti. Se si eseguono una serie di note mantenendo il piano o pianissimo, mezzavoce, falsetto, ecc., si noterà che è assai più facile e naturale mantenere questo piano orizzontale. Se li si esegue con maggiore intensità si comincerà ad alzare la base, e questo perché si è portati a mantenere il forte durante tutta l'emissione, cioè spingendo dal basso o dal dietro (come fosse un pistone) senza mai rilassarsi. Dunque può essere un buon consiglio quello di rilassare e diminuire l'intensità subito dopo aver pronunciato la vocale, cioè dopo l'impulso iniziale, ed evitare di tornare a spingere prima (oltreché dopo) di aver pronunciato le successive (anche se fosse la stessa) e/o le diverse note, e continuando a rilassare-diminuire l'intensità ogni volta. Questo semplice modo di eseguire l'esercizio (ma naturalmente è lo stesso se parliamo di un brano cantato) produrrà quella emissione esterna e orizzontale che auspichiamo. Qualcuno può porsi giustamente la domanda: ma se togliamo suono, non rimarrà un "vuoto"? La questione è difficile da spiegare, per chi non l'ha provato; questo è il preludio al vero canto sul fiato. Quando si elimina la spinta, cioè che rimane è puro fiato. Arrivare a gestire il canto come fosse (come E') puro fiato, è una esperienza straordinaria, ma non è facile da raggiungere e da mantenere. Le prime volte ci apparirà come un tubo "vuoto", inconsistente, privo di quei caratteri materiali che in genere non ci dispiacciono, perché ci danno la sensazione di poter padroneggiare la voce. Ciò, invece, è profondamente sbagliato, perché la voce non si controlla fisicamente ma unicamente col pensiero. E' ciò che facciamo ogni istante, parlando, ed è ciò che dobbiamo raggiungere cantando. Per qualcuno questo può voler dire: trovare un "automatismo", ma è anch'esso sbagliato. L'automatismo comporta l'assunzione di un MECCANISMO. Noi dobbiamo rifuggire ogni automatismo e raggiungere la consapevolezza e la naturalezza: lasciare scorrere il fiato-suono e verificare solo di pronunciare con assoluta perfezione, eliminando ogni sforzo, ogni movimento artificioso o esasperato. Sono cose che sono già in noi, che dobbiamo solo attivare.

venerdì, dicembre 02, 2016

Dei sensi

Con il termine "senso" intendiamo almeno tre aspetti: senso in quanto logica, comprensione, significato ("questa cosa non ha senso", cioè non si comprende, è illogica); senso in quanto modo o direzione ("stai andando in senso contrario", "in un certo senso"); senso in quanto attinente ai nostri terminali nervosi (vista, udito, tatto, gusto, olfatto). Per la verità le prime due accezioni possono ricondursi a un'unico concetto, in quanto la comprensione di un pensiero o di un evento o oggetto è anche riferita alla sua direzione nel senso di comprensione. Se noi esaminiamo un brano musicale, il fatto di non comprenderlo è dovuto molto spesso al fatto che non riusciamo a individuarne il senso, proprio nel significato di direzione, cioè non comprendiamo "dove va", e questo può essere dovuto alla scrittura, quindi al compositore, oppure (molto più sovente) all'esecutore, che non avendo lui per primo riconosciuto il percorso del brano non è in grado di farlo arrivare agli ascoltatori, oppure non si è posto nemmeno il problema, oppure ancora pur avendolo compreso non è in grado di metterlo in pratica. Nel caso dei sensi umani, invece, dobbiamo dire che ci sono delle riflessioni da fare. Oltre ai cinque citati, riconosciuti e studiati, noi tutti spesso facciamo riferimento almeno ad altri due: quello dell'orientamento e quello dell'equilibrio. Il senso dell'equilibrio è svolto fondamentalmente dal Labirinto, quindi lo potrebbe associare agli altri cinque. Quello dell'orientamento, invece, è ben più complesso e difficile da spiegare. Alcune persone riescono a orientarsi nello spazio soprattutto grazie alla memoria e a una particolare attenzione ai particolari, per cui svolgendo un percorso riescono a memorizzare i vari cambi di direzione associandoli anche a particolari dell'ambiente in cui si muovono. Ma il senso dell'orientamento in realtà è anche qualcosa di più ampio. E' evidente che l'uomo anche solo di poche decine di anni fa ne aveva molto più bisogno di oggi, quando le strade erano buie e prive di segnalazioni, non esistevano carte e mappe... Si è scoperto che alcune popolazioni abitanti in isole hanno uno sviluppatissimo senso dell'orientamento e riescono a raggiungere le isole vicine senza alcun ausilio fisico (tipo bussole, mappe...). Questo in quanto la nostra mente possiede potenzialità straordinarie, in parte forse mai manifestate, altre sì ma poi regredite in quanto non necessarie. Appare più che evidente, quindi, che la manifestazione e la crescita di alcune potenzialità, sono dovute a ESIGENZE che le rendono necessarie. Purtroppo le potenzialità non possono svilupparsi in un tempo rapidissimo, per cui la quasi totalità delle persone non può far fronte a una nuova esigenza. Alcune, rare, si ritroveranno casualmente quella disponibilità, perché i sensi nascosti talvolta emergono, senza una motivazione, ma semplicemente perché siano riconosciute, anche se invece di riconoscerli, in genere vengono ricondotte a fatti "inspiegabili", poteri soprannaturali, ecc. In realtà non dovremmo chiamarli soprannaturali, bensì naturali ma non manifesti.
La prima domanda che ci si può porre è: può un singolo sviluppare un senso potenziale (quindi nascosto) per proprio uso? In teoria no, in quanto perché ciò avvenga deve crearsi una condizione particolare che crei un'esigenza a un'intera specie, ovvero a una significativa quantità di persone. Questa esigenza stimolerà la "riapertura" di quel determinato senso, che necessiterà probabilmente anche di una modificazione fisica, ma tutto ciò richiederà numerosi ricambi generazionali, per cui un tempo significativamente lungo. Nella pratica, però, questa possibilità può esistere. Una fortissima esigenza personale, il riconoscimento degli aspetti insiti nel senso stesso, possono, in un tempo difficile da prevedere, in ogni modo accettabile (sempre che non mutino le condizioni) far scaturire un'evoluzione del senso in questione, che non potrà comportare importanti mutamenti fisici (ma di leggera portata sì), ma potrà comunque innescare e stabilizzare la possibilità di poter usufruire di quel senso. Tale situazione non potrà, però, comportare ereditarietà. Rufolf Steiner è uno dei tanti studiosi che ha scritto molto sulle possibilità da parte delle persone di sviluppare strumenti atti a riconoscere e utilizzare possibilità non comuni. Personalmente sono dell'idea che per poter giungere a risultati significativi non basti propriamente sentire la forte esigenza, ma anche avere già una certa disposizione, aver avuto segnali di una inclinazione a determinate capacità cosiddette extrasensoriali. Però potrei sbagliarmi, e ne sarei felice.

La domanda a questo punto potrebbe essere: la voce è o fa parte di un "senso"? Se la risposta fosse sì, come entra nel discorso che stiamo conducendo? Secondo ma la voce E' un senso, e dovrebbe già essere catalogata in tal modo. Ci sono centri cerebrali specializzati, c'è un organo preposto, anche se non ha una funzione primaria, e sicuramente la sua mancanza pur non mettendo a grave rischio la vita, è comunque da considerarsi una menomazione non irrilevante. Come tutti i sensi, nella storia ha subito modificazioni e, soprattutto, adattamenti. Noi sappiamo bene che ogni specie animale che ha i nostri stessi sensi, li ha adattati alle proprie esigenze: la vista dell'aquila non può paragonarsi a quella dell'uomo, è infinitamente più potente; diversa invece quella di gatti e cani, che l'hanno adattata alle proprie specificità. Il gatto non vede benissimo, ma coglie con incredibile attenzione i movimenti, e inoltre è un animale notturno, può vedere accettabilmente nell'oscurità, quindi cacciare. I cani hanno diverse qualità di vista, a seconda della razza, ovvero a seconda della specializzazione (caccia, punta, difesa, ecc.). La voce, ovvero la possibilità di emettere non solo suoni ma articolazioni in parole con significato, e con una potente elaborazione (è probabile che moltissime specie animali, se non tutte, riescano a captare messaggi sonori dai propri simili, ma in quantità estremamente limitata, relativa solo ai propri bisogni di sopravvivenza), è propria solo dell'uomo. Molte specie animali, poi, oltre a un contingente di suoni abituali (abbaio, miagolio, raglio, ecc.) riescono o possono "modulare" i suoni per esprimere qualche espressione emotiva (dolore, sofferenza, gioia, allarme, aiuto), in modo più diffuso, cioè che anche altre specie possano comprendere. Nonostante la Natura si possa in molti casi definire "matrigna", determinati casi di altruismo e quindi di aiuto reciproco esistono anche tra specie in opposizione, e questo perché la sopravvivenza è il valore universale e quindi la sua Legge supera qualunque altra.
Il problema di considerare la voce un senso, si infrange però su un primo scoglio; mentre l'udito, il gusto, il tatto, l'olfatto e la vista si basano su un organo specifico (orecchio, occhio, lingua, pelle, naso), la voce non si può accontentare del suo organo produttore, la laringe (che non ha, sopratutto, questa funzione primaria), ma richiede un ausilio insostituibile da parte del fiato, e non può espletare la sua funzione umana completa, la parola, senza il complemento di numerosi organi o parti anatomiche variamente distribuite (lingua, labbra, mandibola, cranio, faringe...). Quindi non può essere definito un senso "semplice" ma composto, perché per la sua produzione occorre l'intervento e la correlazione di moltissime parti, le quali sono governate anche da parti cerebrali diverse. Ciò su cui dobbiamo riflettere maggiormente è il ruolo del fiato. Ci sono scuole che quasi non considerano il ruolo del fiato, molte altre ne danno un valore altissimo, senza però poi sapergliene attribuire uno specifico, cioè pur considerando che è fondamentale nella produzione e nel controllo vocale, continuano a esercitarlo e a considerarlo nella sua valenza fisiologica naturale. In questo senso ho ricevuto numerose critiche proprio per aver proposto e propugnato pensieri differenti. La natura del fiato è fisiologica, cioè ha come funzione fondamentale, insopprimibile e incommutabile, lo scambio gassoso. Come seconda funzione ha uno scopo di ausilio muscolare per la corretta postura eretta. Solo al terzo posto arriva la produzione vocale, che non può porsi in conflitto con le prime due, e questo SOLO nell'ambito della parola parlata, nell'ambito dell'emergenza (per breve tempo), e nell'ambito di espressioni emotive, di cui può anche far parte il canto (sicuramente è stata l'esigenza fondamentale che lo ha fatto nascere e poi ampliare), ma sempre a patto che non confligga con le prime due funzioni. Viceversa questo succede quanto si chiede al canto un'intensità e una estensione superiori a quelli comuni e per un tempo non esiguo. Quindi noi potremmo definire senso vocale la voce comunemente espressa, ma ne usciamo se le nostre richieste superano questa normalità, che possiamo anche chiamare naturalezza; se fosse naturale cantare l'Aida, tutti potremmo cantare l'Aida, chi da soprano, chi da tenore, ecc. così come tutti parliamo ogni giorno. Posto che questo non succede, non può succedere e non succederà mai, dobbiamo prendere atto che la voce cantata esemplare "superiore", cioè quella che ci consente di cantare ad alti livelli questo repertorio con validi esiti, non è, di norma, un senso, o per meglio dire, è un senso non sviluppato, così come non sentiamo come i cani e non vediamo come le aquile. Sappiamo però che nel caso del canto è possibile acquisire un livello superiore anche individualmente, perché molti l'hanno conquistato, e si può anche ambire a una perfezione fonica, a patto di assurgerlo a senso, che è però un senso potenziale, non espresso e non manifesto se non in casi molto rari. Nel corso del tempo l'uomo compie scelte nel corso della Storia; la vista dell'umanità si sta abbassando, anche il suo udito, il senso dell'orientamento; il canto viceversa attrae e motiva molti a frequentarlo, anche se con un approccio sempre più semplicistico, superficiale e spettacolare che non artistico; si sente sempre di più parlare di emozioni, ma nel canto odierno io di emozioni non ne sento più, se non SUGGESTIONI che danno una patina di emotività, ma di sincerità non se ne coglie una goccia!