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lunedì, dicembre 29, 2014

La rinuncia

Esiste una vita biologica e fisica e una vita "umana" ben più elevata. Non mi sto riferendo a atti eroici, a grandi imprese, benché spesso anche queste possano conferire una dignità e una nobiltà alla vita di alcune persone che le fanno elevare a un rango universale e storico. Ma anche in ambito artistico e meno visibile si può imboccare la strada per una vita più vera, più reale, più interiore e allo stesso tempo più in relazione all'universo e quanto e quanti ci stanno attorno. Purtroppo pur essendo presente in tutti gli umani, la componente predisposizionale riveste un ruolo importante, per cui una gran parte di persone non ci prova nemmeno, non ne sente il richiamo e non si trova nelle condizioni ambientali e sociali per sentirne il richiamo. Poi, però, ci sono le persone che si trovano nelle condizioni giuste: ambiente, comunità sociale, stimoli culturali, ecc., ma... si rinuncia! Sia chiaro, è una difesa. Entrare nella spirale della verità è una incognita, un passo verso un destino ignoto che già sappiamo che non saranno solo gioie, ma anche dolori, anzi, sappiamo prima di tutto che saranno dolori, e forse, solo forse, gioie. In fondo chi ce lo fa fare? Qualunque sia la nostra situazione di vita, possiamo credere che il percorso verso la perfezione possa migliorarla significativamente? Dipende da come consideriamo questa situazione. In genere sì, chi si avventura per questa strada lo pensa, lo crede, per darsi forza e coraggio. Spesso la frustrazione, il desiderio di rinuncia si affacciano prepotentemente. Ovunque ci affacciano "nemici", persone che vorremmo da un lato convincere, dall'altro "sopprimere" per la loro superficialità, per la loro irrinunciabile e imcomprensibile lotta contro le nostre posizioni. Eppure è così, non c'è alternativa. L'unico stimolo importante riguarda una visione della vita che sfugge, e cioè la rinuncia, sì, ma ai bisogni materiali, egoici, apparenti ed effimeri, per entrare nella gioia di un momento, per sentire che qualcuno è entrato con noi nel regno della libertà. Quando finalmente il nostro canto si sarà libeato da ogni ostacolo (ogni tipo di ostacolo) non lo si vive più come "canto", come impegno fisico e mentale per portare a termine una performance, ma come comunione, come raccogliere in un gesto astratto tutti i presenti, rapirne l'attenzione e farli trascendere dal tempo fisico. Non so se questa prospettiva possa essere sufficiente per far scegliere chi si trova sul crinale tra fare arte e fare successo (tentarci), ovvero rinunciare agli allori o rinunciare alla vita. Vedo, sento tante persone, molte delle quali occupano posti importanti nell'opionione pubblica, che vivono una vita più apparente che reale, si nutrono del successo giornalistico, delle medaglie, dei diplomi e dei premi, ma che hanno evidentemente rinunciato al grande passo, quello che li avrebbe condotti a fare realmente arte, quella verso cui erano portati, eletti, eppure si sono accontentati dell'effimero. E quante persone li invidiano! Lui è lì e io sono qui. Come se quello fosse realmente il traguardo della vita. E anche queste parole possono suonare come un ingenuo tentativo di nascondere l'invidia e la frustrazione di non aver saputo o potuto raggiungere un analogo traguardo. Si tratta sempre di scelte, si tratta di sapersi valutare; la cosa più difficile, a volte tremenda, è proprio il dire: io sono capace fare questa cosa a questo livello, non so fare questa cosa, so fare solo molto modestamente quest'altra. A volte è dura ammetterlo con le cose che più ci piacciono, che più ci appassionano e ci coinvolgono, ma se non c'è trasparenza verso sé stessi, non la si può impiegare neanche verso gli altri.

Leggevo all'interno di una discussione una critica al tentativo di mettere in campo criteri per valutare una prestazione e allo stesso tempo guidarci verso una esecuzione all'insegna del vero. Il soggetto a un certo punto diceva che la perfezione poteva risultare noiosa; non solo, ma di fronte a una approfondita disamina di questi, l'interlocutore rinunciava al confronto, dicendo: ognuno ha la propria filosofia di vita. Cioè, replico io, costui ha rinunciato alla vita! Si accontenta dell'illusione. Ma non lo biasimo, se la sua scelta è questa, e non è giusto insistere. Da un certo punto di vista chi ha intrapreso questo studio vede tanti presunti artisti come "zombie" che vagano senza meta, senza criteri, senza bussola, sonnambuli (un noto pianista e ahinoi anche direttore d'orchestra ce l'ha che l'inteprete è come un sonnambulo! ecco, sono d'accordo, è un sonnambulo che ha rinunciato a svegliarsi, sta troppo bene in quel mondo dove pensa che possa far quel che vuole e nulla possa accadergli) e lui che possiede quei criteri non poterli esprimere a una platea più ampia e che potrebbe far contenti tanti. E' giusto provarci, occorre perseveranza, ma a volte è anche giusto rinunciare.

venerdì, dicembre 26, 2014

Interagire con l'ambiente

Una caratteristica di musicalità matura, non necessariamente riservata al cantante, ma del tutto indispensabile per questo tipo di artista, riguarda l'interazione tra sé e l'ambiente. S'è detto già che è necessario ascoltare la propria voce nel luogo in cui ci troviamo, una condizione non facile da raggiungere intanto perché l'udito deve svilupparsi e poi perché siamo alquanto disturbati dalle vibrazioni interne.
Sul fatto che la voce debba risuonare esternamente è, per questo blog, tema ormai persino logoro (per quanto le ripetizioni non saranno mai abbastanza), ma c'è una dimensione su cui forse non mi sono dilungato abbastanza o che, perlomeno, non ho approfondito sufficientemente.
Cosa significa voce fuori? Dobbiamo prima di tutto toglierci dall'idea di "mandare" la voce fuori. Se ci poniamo nella condizione di far uscire la voce, ci sarà sicuramente un errore, un difetto, perché per "mandare" occorre anche un punto di partenza, e questo punto, ovunque sia, sarà interno, e questo creerà fatalmente una spinta, una pressione, un impulso, uno schiacciamento da dentro (che può essere da sotto o da dietro) a fuori (che può essere verso l'alto o verso il davanti). Pertanto sarà già una conquista notevole giungere a percepire che la voce, qualunque sia la vocale o la sillaba d'attacco, nasce esternamente, senza colpi, senza spinte, ma come se si iniziasse a parlare semplicemente. Questa non è detto sia la condizione finale e ottimale. Pur sentendo la voci fuori, ci può ancora essere un legame, un "cordone ombelicale" con la dimensione interna, con la muscolatura, la fisicità. Il punto di arrivo sarà, con una fiducia davvero straordinaria al proprio fiato, "osservare", "udire" la propria voce nell'ambiente avendo azzerato ogni attività e con la certezza che non è rimasto più alcun residuo di legame con il corpo. Esso è diventato come un tubo inerte, che non interagisce e non collabora in alcun modo alla produzione vocale. L'unica attività sarà di tipo mentale, volitivo. Se questo può essere raggiunto più facilmente in un ambiente familiare, potrà risultare difficile in una sala da concerto con pubblico. L'aspetto emotivo e psicologico gioca un ruolo importante. Prima di tutto, ripeto, fidarsi del proprio fiato educato. Ricordarsi che ogni azione che possa essere attivata per cercare di dare più forza, intensità, timbro, ecc., non potrà che danneggiare il risultato. La calma, la sicurezza di superare ogni ostacolo, avendo conquistata la libertà, saranno i veri cavalli vincenti. Naturalmente, sia ben chiaro, non ci si deve convincere di avere raggiunto questa condizione ma deve essere vero, cioè se ne deve prendere coscienza piena, avvalorata dalle parole del maestro (se lo è veramente).
Faccio ancora qualche precisazione. Qualcuno potrebbe osservare: una volta che la voce è nata fuori dal corpo, rimane staticamente lì? E come la si può modulare dinamicamente?
Consideriamo sempre che le parole sono limitate, insufficienti e anche pericolose, quindi questa argomentazione la tratto come informazione orientativa, ma ricordiamoci che è sempre e solo con l'apprendimento pratico che si può arrivare a comprendere. Il suono nato fuori in genere non necessita di altro perché si "autoalimenta", cioè assume l'aria respiratoria di cui necessita, e niente più, e di cui non ci rendiamo quasi per niente conto. Nella fase avanzata di apprendimento saremo continuamente tentati di risparmiare aria, ci parrà un' "emorragia" di fiato, specie nel centro, dove ci sembra non si debba consumare così tanto fiato. Ma non siamo noi che possiamo razionalmente decidere. E' fondamentale non limitare l'afflusso d'aria, pertanto sempre lasciar scorrere e anzi pensare persino di sprecare più aria del necessario. Seconda cosa: dal momento che il suono nasce esternamente e ci si sposta tra i vari intervalli musicali, che siano ascendenti o discendente, o anche su una stessa nota, su vocali diverse o meno, la sensazione dovrà essere sempre quella di continuare a dar fiato, non fermarsi, non frenare, non diminuire. Sono sensazioni difficili, all'inizio, non ci parrà possibile, ma ricordatevi che è una sensazione illusoria, indotta dal nostro istinto per frenare quelle che per lui è una follia! Dopo poco tempo questa condizione di tubo aperto e vuoto ci apparirà, finalmente, come l'unica possibile e praticabile per cantare esemplarmente (anche perché è l'unica che permette l'annullamento di qualunque scalino o registro). Terza questione: la dinamica, che è prima di tutto una volontà, non è possibile esplicarla, così come l'attacco, in termini di spinta. Se si pensa di intensificare la voce premendo in avanti, è finita, si rientra nei parametri della voce corporea. L'immagine, per quanto io sia contrario alle immagini, che può maggiormente aiutare a chiarire il fenomeno, è quella del palloncino. Se potete immaginare che la voce nata esternamente si traduca in un palloncino, l'aumento e la diminuzione di intensità e volume si traducono in un aumento o diminuzione del volume (guarda caso) di questo palloncino. Quindi non più spinta, ma solo più fiato in una dimensione di maggior AMPIEZZA. Se si pensa di premere, si chiuderanno i condotti. 

mercoledì, dicembre 24, 2014

La realtà sostenibile

Se pensiamo a come potesse essere la vita qualche millennio fa, c'è sicuramente da perdere la testa! Ogni genere di difficoltà esisteva ed era terribile da superare, ammesso che la si superasse, e ogni difficoltà, per quanto piccola, era grande! Quale poteva essere una possibile strada per alleviare gli aspetti più crudi? Avere il potere. Il potere ti dava la possibilità di avere servitori, persone e mezzi che si prendevano cura di te e cercavano velocemente delle soluzioni. A volte questa strada finiva male comunque, anche molto male, però intanto per un certo tempo le cose si erano messe bene. Dall'altra parte abbiamo avuto persone che non hanno cercato il potere, anzi l'hanno disdegnato, ma sono vissute bene lo stesso, anche a lungo. Intanto l'umanità si ingegnava per cercare tutte le possibilità di rendere la vita più... vivibile, cioè uscire dal dolore, dalla sofferenza, dalle pene soprattutto fisiche. Con il miglioramento delle condizioni di vita e quindi un maggior benessere diffuso, è un po' diminuita la necessità del potere. La necessità, sì, ma non il desiderio! Benché tutto si muova in un'ottica di maggior equilibrio, ognuno di noi, sotto sotto, aspira a non dover più andare a pagare le bollette, a svuotare la spazzatura, a imbiancare, ad aggiustare il rubinetto, tagliare l'erba,... andare al lavoro! Si lavora un tot di anni e l'argomento più battuto è: quando vai in pensione!! In questi ultimi anni non so quante volte me l'avranno chiesto, e detto di loro. Ma tutto questo discorso a cosa fa riferimento? Alla realtà! La verità è che quando l'umanità, per lo meno quella cosiddetta occidentale, ha cominciato a vivere con un tenore (non cantante) più elevato, ha cominciato anche a uscire dalla realtà. E' bastato un po' di benessere affinché si cominciasse a delegare tutto il delegabile. La donna delle pulizie, gli spazzini, l'imbianchino, l'idraulico... tutte persone che lavorano (ma a costi sempre più alti, perché sempre più indispensabili) ma soprattutto che ci tolgono le afflizioni quotidiane. Questo èleva sempre più il potere del denaro, perché è grazie ad esso se possiamo vivere in questo livello più piacevole, però questo ci porta in una dimensione sempre più finta, surrogata, e ci porta a disconoscere, cancellare quel mondo vero che ci sta dietro, e nel quale alcune volte, sempre di più, si precipita con grave cruccio e che porta spesso all'omicidio e al suicidio, perché insostenibile, in quanto non voluto. Mi è capitato diverse volte di sentire notizie ai TG di uomini o intere famiglie distrutte per un problema economico temporaneo. Famiglie ritenute "normali", anzi buone, virtuose. Ma impreparate, avulse completamente dalla realtà, illuse dalla possibilità di una vita sempre come sospesa in una dimensione piacevole e confortante. Basta un errore e il disastro si compie.
Ma questo come e cosa c'entra nel blog sul canto? C'entra eccome! In fondo la questione non è molto diversa; la voglia di possedere un talento straordinario, ci porta a perseguire strade di ogni tipo, a dar retta a "maghi", illusionisti, dulcamara d'ogni tipo, pur di poter sperare di avere una voce grande, estesa, agile. Tutte le donne vorrebbero essere la Callas, magari con qualche difettuccio in meno e qualche cosa in più (ad es. una voce più bella) e tutti i tenori Del Monaco o Corelli, i baritoni Bastianini, i bassi Siepi. Alcuni, dotati naturalmente, riescono ad esprimersi con caratteristiche non indifferenti, ma tante tante volte questo desiderio-sogno di una leggendaria, mitica condizione d'altri tempi, li porta a rendere molto meno, a non esprimere realmente le proprie potenzialità, a inquinare, guastare, sporcare quel patrimonio che con più umiltà e capacità di controllo, soprattutto mentale, psicologico, potrebbe portare a risultati straordinari. Anche qui, purtroppo, la caduta nella realtà comporta depressioni dolore, abbandoni, miseria. Esiste anche chi continua a vivere nell'irrealtà, illudendosi di riuscire a ingannare tutti e pervicacemente continuare a gestirsi in un mondo parallelo, grazie al mito, all'aura creatasi con la celebrità, la popolarità. A volte riescono anche a farcela, ma, potremmo dire, a quale prezzo? Beh, non è buona cosa giudicare, quindi ognuno si gestisca come meglio crede, ma il mio stimolo natalizio, sperando di non aver intristito nessuno, è rivolto soprattutto ai giovani e a chi sta iniziando un percorso di vita: cercate di conoscere, vivere, sostenere la realtà. Se lo fate fin da subito potrete camminare con più fiducia, con i piedi per terra, con la certezza che sarà dura, ma non cadrete nella sofferenza e non ci porterete le persone a voi care. Anche il vostro canto dovrà essere ispirato alla realtà. E' vero che il teatro è finzione, ma per poter essere arte deve risultare vero! Quindi più la vostra linea musicale e testuale sarà indirizzata al vero, al reale, più conoscerete la gioia, e soprattutto la farete conoscere agli altri, e questo è il vero successo.

sabato, dicembre 20, 2014

Dentro e fuori

Qualcuno, polemicamente, disse tempo addietro che la voce è fuori e dentro contemporaneamente. La qual cosa è in parte vera, anche se preferisco precisare che all'interno del corpo c'è "suono", mentre la "voce" si manifesta compiutamente solo all'esterno. La discussione su questo tema ritengo sia in gran parte vana; a noi interessa educare e perfezionare la voce, dunque del suono ci interessa poco, se non quel tanto che basta per informarsi sulla nascita e quanto avviene affinché questo si trasformi in voce semplice, prima, voce esemplare poi. Ciò cui faccio riferimento con il titolo "dentro e fuori" si riferisce a un dentro ideale, spirituale, del pensiero, mentre il fuori è realmente il fuori di noi, dove la voce può esaltarsi come manifestazione stessa del pensiero, e non come semplice attributo fisico meccanico. Dobbiamo toglierci il più possibile da questa condizione forzata, altrimenti la libertà del canto sarà sempre difficile. Quando finalmente riesco a guidare qualche mio allievo a rendersi conto di un suono libero, scorgo la felicità ma anche il timore che nasce da questa nuova dimensione in cui è entrato. Sembrano mancare riferimenti, guide, appigli, ma anche leve, pedali e pulsanti che consentano di esercitare azioni sulla voce, come intensificare, addolcire, scurire, modificare, insomma, il prodotto vocale. La soluzione è la più semplice, banale, possibile, e cioè PENSARE, VOLERE. Il pensare e volere devono essere totalmente sganciati dalla fisicità; ciò che si vuole non è legato a "non chiudere la gola", ad esempio, o "non spingere". Queste brutture sono frutto di un secolo scarso di ragionamenti profondamente erronei, di condizionamenti razionali e di interferenze scientifiche, oltretutto molto spesso... pseudo! Non sarà la ragione che ci può condurre a un canto espressivo, a cantare alla nostra sfera sentimentale, a incantare gli animi e la parte più umana e divina di ciascuno di noi, dunque non si può passare da quella strada. La libertà è una strada difficile, ma soprattutto che ci pone in atteggiamento guardingo e timoroso. Il maestro serve a condurre, per l'appunto, per mano, facendo constatare che il terreno è solido, che non si cade, non si sprofonda e che con un po' di coraggio e di fiducia i primi risultati, validi ma magari un po' incerti, traballanti e non pienamente sonori, lo divengono in poco tempo. Dunque per il "dentro" si faccia sempre e solo riferimento alla componente animica, e il fuori allo spazio intorno a noi, un grande spazio, in cui però non ci si perde, e che noi possiamo riempire non di voce bruta, ma di un fiato sottile e infinito, dolcemente ma inesorabilmente sonoro e ricco.

giovedì, dicembre 18, 2014

Difetti al quadrato

C'è qualcuno, la cui voce - non reale ma editoriale - è parecchio divulgata, che suggerisce che per contrastare la spinta che molti allievi esercitano nel tentivo di cantare con molto volume, si può ricorrere al difetto opposto, cioè la nasalizzazione, perlomeno temporaneamente.
Per intanto sarebbe da analizzare se veramente si tratta di un difetto opposto. Secondo me no, per niente. La spinta è una forza che per varie cause, in questo blog più e più volte analizzate e descritte, procede dal basso verso la laringe e quindi verso l'alto. Nasalizzare non significa affatto non spingere! Semmai l'azione opposta, contraria, è lo spingere verso il basso, quindi l'affondo! Nasalizzare è un'azione che si può fare spontaneamente e consiste nel lasciar scendere il velopendolo in modo che il suono possa transitare attraverso le coane, i forellini di comunicazione posteriori, nelle fosse nasali. Vi si dedicò con molto entusiasmo il baritono Gino Bechi, il quale non mi pare abbia superato i vent'anni di carriera proprio per la spinta esagerata verso le fosse nasali.
Ma in fondo siamo sempre alle solite. Come ho più volte spiegato, la tecnica consiste nel cercare degli escamotage, in assenza di coscienza, che permettano di superare una determinata difficoltà. Non essendoci cognizione di quanto si sta facendo, del perché e delle possibili conseguenze, la difficoltà o difetto potrà sembrare superata perché l'istinto ha concesso un più ampio margine di concessione, ma in un tempo più o meno lungo, tornerà a farsi sentire e a riprendersi il concesso, in quanto non ha realmente assimilata come propria quella certa azione, nel nostro caso il canto, e vi si opporrà appena le forze fisiche, che impongono l'azione, cominceranno a venir meno. Nasalizzare, come affondare, tirare, spingere, alzare, ecc., sono tutte facce della stessa medaglia, cioè metodi incoscienti, aggiustamenti privi di reale cognizione di causa. Il difetto temporaneo è sempre presente, perché la perfezione è il risultato finale, e l'insegnante sa che deve tollerare il mantenimento di determinate difficoltà mentre forma l'allievo; si tratta di scegliere i difetti meno gravi in attesa che si sviluppino le qualità che permettono il superamento di ogni difficoltà e difetto. La nasalizzazione, come l'affondo, non rientrano e non possono rientrare tra i difetti consentiti, anche se chi li ha in modo rimarcato e spontaneo, li conserverà per qualche tempo, ma l'insegnante ne sottolineeerà sempre la necessità di eliminazione in modo anche da far constatare all'allievo le caratteristiche del difetto stesso in modo che proceda anche autonomamente alla sua eliminazione. Figuriamoci se si può pensare di inserire in un allievo che non ha quel difetto una simile procedura! Significherebbe aggiungere difetti a difetti. Possono esserci casi, piuttosto singolari, dove il permanere "testardo" di un certo difetto, richieda una qualche correzione "non ortodossa", più che altro come tentativo di velocizzare i tempi, ma sempre nell'ambito di una fonazione leggera, ampia, gradevole e consapevole.

lunedì, dicembre 15, 2014

Revision delle revisioni 3

Qualche altra annotazione: spesso si tende a rallentare il finale. Questo si può fare ma occorre anche qui un criterio, e il criterio è legato alla tensione. Su un brano di così ridotte dimensioni e di così effimera tensione, sia musicale che testuale, un rallentando è del tutto fuori luogo, quindi al massimo si può fare un appena accennato ritenuto.

Altra cosetta (si fa per dire!): il legato.Se è corretta la grafica usata dall'edizione revisionata, non c'è, nel canto, alcun segno di legatura. Quelle che vedete qui le ho aggiunte io. Con questo non si può pensare minimamente che questa pagina possa essere eseguita in modo staccato; a parte comunque il legato espressivo, non dimentichiamo che esiste un legato implicito grazie al quale il senso delle parole e delle frasi rimane integro e sempre intelleggibile.

Revision delle revisioni 2

Dunque, un cantante, vuoi professionista che buon amatore, con una certa esperienza pubblica, stimato, applaudito sinceramente, a un certo punto decide di dedicarsi all'insegnamento. Sa che dovrà forgiare dei giovani; certamente dovrà consentir loro di potersi esprimere vocalmente in modo disinvolto, libero, e di comunicare musicalmente a un livello perlomeno buono. Quindi, dopo le prime lezioni di preparazione, di conoscenza, ecc., comincerà ad affrontare le prime paginette di musica. Ad esempio i primi studi del Vaccaj. Il compositore Nicola Vaccaj fu un apprezzato compositore e un ricercato insegnante di canto sia in Italia che all'estero, e compose questo "metodo pratico di canto italiano per camera in 15 lezioni" nel 1833. Negli anni 80 del 900 venne ripubblicato in una edizione revisionata da un noto insegnante di canto. Sulla breve premessa concordo sostanzialmente con quanto scritto. Non so quanto la realizzazione abbia seguito le intenzioni. Facciamo subito un esempio. Nella prima arietta "manca sollecita" il revisore aggiunge poche righe al commento dell'autore, tra le quali mi piace sottolineare le seguenti: "... durante l'ascesa alla nota più acuta del pezzo si avrà cura di osservare la più assoluta immobilità e rilassatezza dell'apparato oro-faringeo al fine di realizzare un canto sul fiato ideale. L'attacco sulla nota iniziale della quartultima battuta potrà essere eseguito sia sul f che sul p a seconda delle possibilità espressive dell'esecutore." Convengo con quanto dice in seguito, cioè che nonostante l'apparenza è un brano difficile.
Rimango basito di fronte a tre sollecitazioni: "assoluta immobilità e rilassatezza dell'apparato oro-faringeo", "realizzare un canto sul fiato ideale", "l'attacco ... potrà essere eseguito sia forte che piano". Dunque, secondo l'esperto docente, si può immobilizzare e nel contempo rilassare l'apparato oro-faringeo, e questa è la condizione per realizzare, si badi bene, alla prima lezione, l'ideale canto sul fiato. Come pensa e come potremmo noi da queste poche righe cogliere qualcosa di autenticamente utile e significativo? Se pensa che un allievo possa leggere e poi realizzare in modo calligrafico questo suggerimento è come minimo un ingenuo e un visionario, se invece pensa che debba essere l'insegnante personale a mettere l'alunno nelle condizioni di poter esprimere al meglio delle possibilità del momento l'esecuzione del brano, allora il commento è non solo superfluo ma anche fastidioso, perché un insegnante esperto già sa quel che deve fare, e non è detto che ricalchi quanto scritto dal revisore, che a questo punto diventa un punto di contrasto e quindi di possibile confusione per l'allievo. Adesso veniamo al brano vero e proprio, cioè la seconda arietta, "semplicetta tortorella". Sinceramente io non capisco cosa è stato fatto. Contrariamente alle normali edizioni critiche, qui è tutto scritto normalmente, cioè non ci sono legende per farci comprendere se è stato aggiunto qualcosa di mano del revisore, ad esempio legature tratteggiate. Ho provato a cercare in rete edizioni diverse e ne ho trovate due, una del tutto identica anche sul piano delle indicazioni espressive, quindi anche legature, e una invece molto più ricca, quindi... non si sa. Bel lavoro!
Ora, quale potrebbe essere invece un ruolo fondamentale nel lavoro di riedizione di un lavoro storico, ancor più se di carattere didattico? Dare quelle indicazioni di natura MUSICALE che non tutti gli insegnanti di canto possiedono (ma chi le possiede!!?), e che non si scontra e non contrasta con la sua "competenza", ma anzi la integra e completa. Ad esempio è piuttosto normale, per non dire sistematico, che ci siano stereotipi, tipo accenti fuori luogo, cantilene, legature improprie. Ad esempio, è abitudinario mettere gli accenti in questo modo:
Qui saremmo nel paleozoico dell'insegnamento musicale, eppure lo si sente benissimo fare da gente che canta da anni. Il 6/8 è un tempo non facilissimo, perché ha una forte tendenza alla cantilena. Si tratta di non avallare questa tendenza, se non si tratta di una nenia. Se anche non si va in contraccento, come nell'esempio, anche accentare tutti i tempi in battere è comunque sbagliato. Quanti insegnanti e allievi (e magari pure revisori...!) si soffermerebbero a osservare che il brano parte in levare, sul 4° tempo? E' strano? No, Vaccaj, molto semplicemente, si rende conto che il primo accento tonico è sulla "é" di semplicétta (mi raccomando, la "é" con accento acuto, cioè stretta), e correttamente fa coincidere questo accento con il primo accento musicale, cioè il primo battere possibile, sulla seconda battuta. Quindi il brano deve iniziare piano e andare a cadere sul battere successivo, dopodiché diminuire sensibilmente il "-tta" finale. Ma anche qui siamo alla preistoria! Qual è la frase? E' "semplicetta tortorella", e non dobbiamo pensare che ogni parola debba rivelare prepotentemente il proprio accento; tra queste due, è evidente che l'accento più importante cada sulla "è" di "tortorèlla" (se osservate le minime, c'è la scaletta fa sol la, quindi il la è la più acuta, così come successivamente c'è una scaletta discendente do-si-la-sol). Il geniale revisore, proprio al contrario di quanto ho esposto, suggerisce di accentare leggermente i tempi deboli!!!! cioè rovinare totalmente il pezzo! e, ancor peggio, ci invita a non fare crescendi e diminuendi. Ma sì, tutto uguale, evviva!! e notare che non c'è ombra di legatura!! Nuovamente la seconda frase parte in levare; quale importanza può avere un "che"? nessuna, quindi sarebbe palesemente antimusicale partire da un forte. Mi pare abbastanza chiaro che la frase tenda al "-ri" di "periglio". Per esemplificare graficamente la dinamica dell'esecuzione, devo ricorrere a una doppia fila di forcelle; in pratica all'interno di due crescendi, il primo un po' più trattenuto, il secondo più esplicito, dobbiamo fare dei piccoli diminuendo al fine di non incorrere in accentacci su sillabe atone.
Si potrebbe, invece, instaurare una simmetria decisamente inopportuna:
In questo modo la terza frase ripartirebbe da zero ed ecco la reiterazione ciclica che toglierebbe qualunque interesse al brano.
Un grosso pericolo è anche costituito dalle simmetrie; in questo caso una simmetria c'è, però il fatto che la seconda frase parta da una nota più alta e con un suo piccolo accento, mette al riparo da questa eventualità. Altra questione è costituita dalla durata delle note. In genere gli allievi che non hanno una forte musicalità innata, tendono ad accorciare i tempi deboli e spessissimo "rubano" tempo, cioè arrivano prima del dovuto al battere successivo, creando buchi e/o sfasamenti con il pianista, per cui bisognerà agire sulla pronuncia ben distesa delle sillabe in levare (-pli; to; non; pe); un discorso fondamentale riguarda alcuni pronomi ricorrenti come "mio", "suo" "tuo", che finiscono spesso e volentieri per diventare "miò", "tuò", "suò". L'insegnante non deve demordere dal fermare SEMPRE l'allievo e fargli cantare correttamente mIo, tUo, sUo, ecc., allungando anche oltre misura la vocale tonica, fin quando diventerà spontanea.
Guardate quanto ho già scritto, e non sono ancora a niente! Un Vaccaj revisionato per bene, dovrebbe avere dimensioni triple, rispetto al volume edito. Adesso, se esaminiamo il testo, ci rendiamo conto che la frase non ha senso, manca un pezzo; infatti adesso abbiamo: "per fuggir dal crudo artiglio, vola in grembo al cacciator". L'autore riprende la frase musicale iniziale. Inizierà con lo stesso "piano" iniziale? Ovviamente no, la tensione è cresciuta, sia da un punto di vista musicale che testuale. La terza frase, "vola in grembo...", è scritta una terza sotto la simmetrica seconda frase, la qual cosa potrebbe risultare strana, perché la tensione dovrebbe aumentare significativamente. Ma è evidente che Vaccaj, che era musicista esperto, si rende conto che la brevità dell'aria rischia di farlo morire subito, e non c'è ancora sentore di climax, quindi scende al fine di preparare una "salita" più efficace ed evidente, prima della conclusione. Il punto massimo coincide con l'aspra figura dell'artiglio, sulla nota più acuta del brano, dove cadrà anche il forte più acceso, seppur non mai esagerato. La quarta frase, che riparte dalla stessa nota più acuta, sarà poco meno forte di quella, perché dobbiamo scendere gradualmente per far stemperare la tensione. Ricordiamo che il brano musicale si contraddistingue da tre punti, inizio, fine e punto massimo, ovvero nascita, morte e articolazione tensiva; la parte fino al PM è la fase implicita, da qui, con l'occhio rivolto al PM, si passa alla fase esplicita, fino alla fine. Facciamo ancora notare alcune cose, che qui non rivestono un'importanza somma, ma sono sempre da tenere d'occhio. Le RIPETIZIONI, soprattutto musicali. Qui abbiamo la seconda e la sesta battuta uguali, però, come dicevo, non nascono problemi perché abbiamo già indicato la necessità di crescita in entrambi i casi. Quindi abbiamo le IMITAZIONI. E qui siamo pieni! testuali ma soprattutto musicali e anche speculari. Praticamente è tutta un'imitazione! Nelle imitazioni occorre individuare la proposta e la risposta; la risposta, risultando la parte PASSIVA del gruppo andrà a "meno", cioè con un'intenzione dinamica meno forte. Infine, forse, abbiamo le CHIUSE, cioè le conclusioni delle frasi, che vanno sempre a meno, se non ci sono accenti, ma anche in quel caso l'intenzione deve sempre essere quella di attenuare. Ora pubblicherò su un'altra pagina l'intero spartito con le indicazioni dinamiche che ho evidenziato.

venerdì, dicembre 12, 2014

Revision delle revisioni

Escono in commercio periodicamente volumi di testi musicali storici, vuoi opere, vuoi manuali, corredati da commenti e aggiunte critiche. Fino a qualche anno fa c'era una motivazione economica perché l'elaboratore o revisore attendesse a questa attività, in quanto poteva usufruire di quote di diritti d'autore quando il brano veniva eseguito in pubblico con quella specifica elaborazione. Da qualche anno mi risulta che questa speculazione è stata tolta (per fortuna). C'è sempre un guadagno, limitato però al solo compenso che l'editore decide di sborsare a un revisore per una particolare edizione. In questo senso si giustificano le celebri edizioni critiche delle opere di Verdi o Rossini, commissionate dalle fondazioni esistenti e facenti capo ai grandi compositori. In genere l'edizione critica come funziona? Si prende, se c'è, l'autografo originale, nonché tutte le prime edizioni, a stampa o manoscritte, le annotazioni eventualmente riscontrate e quant'altro ritenuto degno di nota, persino nella corrispondenza. E', in sostanza, una operazione in gran parte grafica; il "musicologo" subentra per dare priorità alle scelte, eventualmente segnalando con diverse modalità, segni talvolta persino di opposta tendenza (in certe versioni in una frase ci può essere un crescendo e in altra, nello stesso punto, un decrescendo oppure un legato e uno staccato, ecc.). Quindi molto spesso si porta in evidenza che dalle carte emerge che determinate frasi non hanno una chiara e univoca scrittura, anche se non si sa se tali contraddizioni appartengano all'autore o ad altri. Alla fine c'è da chiedersi se tali edizioni siano davvero utili, perché dietro questi "maneggiamenti" non ci sono mai criteri esposti. In alcuni particolari casi, come i libri di studio, questa attività può avere un particolare e importante rilievo. A cosa servono gli studi? Per tutti gli strumenti esistono centinaia di libri che portano appunto il nome di "studi" ed hanno sempre un carattere eminentemente tecnico, cioè non "musicale". Credo che pochissime persone colgano la valenza di questa critica. Sappiamo che nel rapportarsi allo strumento ci sono difficoltà non indifferenti; le dita di un pianista, il coordinamento tra le mani, la rapidità, ecc. I vari insegnanti, nel tempo, hanno elaborato degli esercizi che insistendo e proponendo vari tipi di soluzione, come una diteggiatura, una posizione, un movimento, ecc., hanno creato metodi che sono considerati validi. Questo ok, ma... è un procedimento "musicale"? Di solito no, è pura tecnica. Questo è un male, perché l'allievo confonderà la tecnica con l'arte, cioè riterrà che risolvendo i problemi tecnici, cioè facendo bene i passaggi virtuosistici, difficili, farà musica. Ma non è così! Non è così a meno che l'insegnante personale non ci metta una pezza illustrando e poi pretendendo che ogni esercizio venga suonato con criteri musicali oggettivi e condivisi. La questione riguarda ovviamente anche il mondo del canto. Un celebre testo, il Vaccaj, un bel po' di tempo fa è stato pubblicato con una revisione da parte di un celebre insegnante. Prima di ogni studio il revisore ha inserito un proprio commento, di carattere tecnico. Ma... gli allievi che studiano canto, hanno veramente bisogno di quei consigli tecnici, che in realtà ben poco effetto possono avere su chi poco sa di voce, mentre possono creare confusione se contrapposti a quanto dice l'insegnante personale, mentre ben altro peso potrebbero avere consigli di natura strettamente musicale, tipo orientare le ripetizioni, individuare il fraseggio e come realizzarlo, ... insomma, come fare di un brano un'unità. Anche nei libri scolastici questo genere di insegnamenti sono totalmente assenti, e se consideriamo che la maggior parte degli insegnanti di musica ben poco sa in merito, come pensiamo che la musica possa avere un florido futuro?
In un prossimo post esemplificherò quanto esposto commentando, come credo vada fatto, un esercizio del Vaccaj.

martedì, dicembre 09, 2014

Il trattato - respirazione - 14

Una civiltà progredita porta con sé una respirazione che è relativa alla civiltà in atto, cioè una respirazione carente, perché l'uomo adagiandosi nel benessere tende ad impoltronirsi. Abbiamo osservato che la respirazione comune o naturale è sempre carente o difettosa quando questa viene usata per alimentare i suoni
Una osservazione tanto semplice quanto acuta e importante. Le condizioni di vita umane mutano nel tempo, perché l'uomo tende a creare benessere, e il benessere porta a una diminuzione dell'impegno fisico, e di conseguenza la respirazione, che, insieme all'alimentazione, fornisce energia all'attività, risulta più carente rispetto al passato, e di questa carenza ce ne accorgiamo maggiormente proprio in quelle attività come il canto dove il respiro non è solo di tipo fisiologico ma riveste un ruolo ben più pregnante.
e quanto più noi cerchiamo di impegnarla a superare il difetto, tanto più essa lo accentua perché non supera l'istinto ma lo pone in condizione di organizzarsi in difesa e ne accresce la resistenza.
Come già in diverse occasioni sottolineato, la tecnica, e soprattutto una tecnica meccanica non solo non può risolvere realmente alcun difetto, ma lo pone in condizione di sviluppare maggior resistenza. Se apperentemente sembra di aver superato i problemi, si deve alla tolleranza dell'istinto, cioè sarà questione di tempo, ma essi appariranno.
E' vero che la reazione sviluppa l'azione, ma solo entro i limiti di concessione istintiva. Ciò favorisce ma anche inganna certi soggetti rispetto ad altri, sia perché le costituzioni fisiche sono diverse, sia perché vi sono condizioni ambientali diverse, sia perché vi sono aspetti congeniti o sensori, specialmente uditivi; condizioni tutte, queste, che si allacciano, poi, a una certa disponibilità 'vocale più o meno spiccata.
Quanto scritto vale per tutti, siamo tutti sottoposti alle stesse leggi, ma allo stesso tempo ci possono essere diversità anche spiccate; questo trae in inganno, perché ci si sente dei privilegiati (e in un certo senso è vero, ma non si è invulnerabili!).
Diventa ovvio che per abbinare il perfetto al perfetto è indispensabile unire l'educazione per la formazione dei due apparati: uno, quello VOCALE O FONICO che deve diventare appropriato ad ogni soggetto, libero in tutta la sua azione, cioè libero da ogni e qualsiasi impedimento; l'altro, l'apparato RESPIRATORIO, deve sganciarsi dalla sua abituale funzione e trasformare la propria meccanica in azione fonica.
Qui abbiamo uno dei concetti chiave espressi mirabilmente dal m°. Più si percorre la strada del canto artistico e più ci si avvede di come questi pensieri siano veri, reali, condivisibili. 
Tutta la gamma dei suoni possibili deve diventare talmente libera da costituire un flusso mentale svincolato da ogni e qualsiasi esigenza istintiva. Deve diventare, cioè, un perfetto "archetto" che opera sulle corde vocali, agendo su di esse in rapporto alla perfetta esigenza di ogni richiesta di suono, affinché non intervengano deformazioni organiche di nessuna specie. Ne consegue che non si può insegnare a cantare e a ben formare lo strumento vocale scrivendo, così come non si può insegnare a ben respirare teoricamente. Se fosse sufficiente, per ben cantare, studiare testi sul canto o di anatomia e fisiologia, il problema sarebbe di facile soluzione o non si presenterebbero affatto.
Infine un pensiero critico, che non è da sottovalutare:
Il nostro intento è di orientare, ma spesso temiamo di andare ad accrescere la già tanta confusione esistente.

giovedì, dicembre 04, 2014

Tira e spingi

Si verificano, nel corso dell'apprendimento, due fenomeni opposti: la spinta e il trattenimento della voce. A cosa sono dovuti, cosa causano e come affrontarli?
Si può restare perplessi di fronte alla coesistenza di due fenomeni di opposta tendenza, eppure questo dobbiamo constatare e dobbiamo anche ricercarne le cause, se vogliamo poterne annullare gli effetti negativi senza creare tecnicismi che solo apparentemente potrebbero superare i problemi ma in realtà rischiando di dilartarli. Sulla spinta per la verità ci siamo già dilungati. Da un lato c'è una tendenza abbastanza comprensibile di ogni soggetto che cerca di ingrandire e intensificare la voce. La soluzione non può essere certo quella di tirare indietro o spingere verso il basso!!! L'unica soluzione degna di nota consiste nel parlato, cioè pronunciare, poi intonando, con la semplicità del parlato quotidiano. Questo rende scettici molti perché non possono immaginare che il parlato possa svilupparsi fino a diventare una grande e sonorissima voce. Ma questo può essere un problema superabile dal maestro che esemplifica. L'altra causa della spinta è ben più spinosa, e consiste nella reazione istintiva, come ho scritto a sazietà, e dunque su questo non mi dilungo.
Ora esaminerò il trattenimento, che è un difetto persistente e subdolo. Ci sono molte e variegate ragioni, caratteriali, personali, nei primi tempi, e solo più avanti ne subentrano altre di tipo fisiologico-istintivo. La timidezza, la vergogna, la paura (questa è di tipo emotivo-istintivo), tendono a far trattenere il suono, e quel che è peggio è che rendendosene conto il soggetto comincia a spingere! Per cui ci si trova in una contraddizione in essere, cioè lo stesso soggetto che oppone resistenza e preme per vincerla. Anche questo difetto si può affrontare in buona parte col parlato semplice, naturalmente ampliandone la tessitura a tutta la gamma posseduta, il che, come si può facilmente immaginare, non è per niente semplice, specie per le donne (che in effetti non hanno bisogno di estenderlo oltre un mi-fa4). Cosa succede in un certo momento? Che l'equilibrio che si va a instaurare tra le masse (suono e aria di alimentazione) permette la creazione (e anche sensazione) di quel "tubo vuoto" o gola aperta e "morta" che l'istinto non accoglie volentieri perché si potrebbe creare uno svuotamento troppo repentino e violento dei polmoni. Ecco che qui, dunque, subentrano i concetti di "sostegno del petto" (inteso come torace, non come registro) e respirazione artistica. La capacità del soggetto di non mettere in pressione l'aria polmonare, che ne causerebbe una fuoriuscita troppo impetuosa e la chiusura glottica, e che, peraltro, non deve per nessun motivo ricreare la condizione di trattenere, è quella meravigliosa condizione di perfetto equilibrio o galleggiamento aereo (non galleggiamento vocale, che, pur essendo un'ottima e interessante sensazione, è più comune e non necessariamente priva di difetti) che permette una vocalità artistica, ovvero la possibilità di un'autentico parlar cantando, perfettamente intonato, purissimo, diffusivo, effusivo, piacevole, sonoro, penetrante e malleabile, cioè in grado di potersi esprimere, sempre con efficace sonorità, dal sospirato al fortissimo, dal chiaro allo scuro, su tutta la gamma, senza più scalini. Puntiamo alla semplicità, che è sicuramente la strada migliore, anche se con questo mi rendo conto di aver detto molto poco... o troppo!

lunedì, dicembre 01, 2014

Senza massa...

Come può un fotone proiettarsi alla massima velocità possibile? eliminando la massa. E' una disquisizione puramente filosofica, o mentale, ma comunque importante. Quello che appare dalla pubblicistica sul canto degli ultimi anni, riguarda considerazioni sul suono vocale inteso come una massa mobile (metti qui o là, spingi, tira, alza, premi, gonfia, allarga; quando non è rivolto al suono è rivolto ai muscoli, il che è forse persino peggio). Questo ha un fondamento di verità, perché il suono è una massa, e come tale ha un peso. L'errore che si fa, comprensibilmente, è il tentare di muovere, di gonfiare, di proiettare, ecc., questa massa, la quale non è la voce, ma è solo sé stessa (suono), e il suo ruolo si esaurisce nel contrapporsi alla massa aerea che la produce. Questa contrapposizione, come già illustrai ne "le masse contrapposte", determina quell'equilibrio pneumofonico che permette quel galleggiamento laringeo grazie al quale si elimina ogni fatica e consente al cantante di parlare intonato. La concentrazione, la volontà del vocalista cantore, deve orientarsi verso un altro obiettivo, che è rappresentato dalla pronuncia che si forma esternamente, e quindi si può avere (non necessariamente, meglio se non c'è) la sensazione di avere due elementi aventi tra di loro una relazione ma allo stesso tempo distanti e indipendenti, cioè la parola, fuori-avanti, e il suono, interno (sensazione che dovrà sparire totalmente, a favore unicamente della parola)
E' bene ripetere e precisare che sulla punta, all'esterno, non ci sta "un" suono, ma solo la pronuncia più esatta e corretta, che richiede una costante e ben dosata alimentazione, la quale non può essere determinata dal cantante, ma è implicita nella produzione stessa e andrà perfezionata con l'esercizio, grazie all'esempio e ai suggerimenti del maestro. La questione fondamentale, però, resta quella della massa. Il movimento della massa è causa del sollevamento del fiato dalla propria base, quindi lo spoggio, ovvero la cosiddetta "cucchiaiata", cioè il "giro" in zona oro-faringea, che provoca indietreggiamento, opacizzazione, ingolamento. A parte il parlare avanti, fuori, potrà giovare proprio il ritenere che la giusta vocalità sia "senza massa", quindi senza peso, e grazie a questa assenza materiale possa scorrere, fluire, spandersi, nell'ambiente circostante a grande velocità, correre, ma anche riempire e incantare, come un sottile ma inebriante profumo. In fondo è sempre un volare, come ho già espresso nel post precedente.

giovedì, novembre 27, 2014

"Ognuno per diversa via..."

"Ognuno per diversa via", dice Colline nell'ultimo atto di Boheme. E questo ribadisco io. Nel delirio di internet tra siti, blog, forum, video yt, le occasioni e le sollecitazioni all'apprendimento del canto sono pressoché infinite. Se mi mettessi a cercare e commentare tutto ciò che si discosta o si avvicina alla linea della mia scuola, dovrei dedicarmi interamente a questa attività... e con quale finalità? Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, possibilmente entro i limiti della civiltà, e ognuno è libero di dar credito a chi ritiene più convincente, più aderente alla propria sensibilità e alle proprie idee. Può dispiacere sapere che qualcuno campa, pubblicisticamente, estrapolando gran parte del materiale da questo blog o dagli scritti di questa scuola, ma pazienza. Ho deciso che tutto ciò che appartiene al mio pensiero sulla vocalità e sull'insegnamento del canto non è un segreto e quindi intendo condividerlo con tutti coloro che hanno la possibilità e l'interesse di leggerlo, indipendentemente da possibili futuri progetti, o meno, di pubblicazione che non sarebbero comunque da considerare operazioni speculative ma solo di più ampia diffusione, e ognuno è quindi libero di commentarlo, purché non distorcendone il significato. Al di là di situazioni di curiosità, di legittimo interesse, di informazione e dialogo, ma solo se utile ai fini di una crescita individuale o collettiva, ribadisco il concetto: ognuno prosegua per la propria via, e buona fortuna a tutti. Io navigo il mio mare, e se naufragherò... mi sarà dolce!

martedì, novembre 25, 2014

Della virtù com'aquila sui vanni m'alzerò

Si lavora sulla tecnica canora ponendosi, nel migliore dei casi, su due piani: il centro vocale, detto "registro di petto", e la zona acuta, detta falsetto o testa. In molte scuole e teorie si fa riferimento a una zona di transizione detta "mista" (più che altro nelle donne). Poi per anni e anni si lotta con il passaggio di registro. Questo lo potremmo definire: il mondo piccolo, il regno della contingenza, delle necessità pratiche, del minimo indispensabile. Il salto consiste nel considerare che si può superare questa condizione per elevarsi a una regione superiore, quella del canto artistico, dove questa condizione contingente viene lasciata alla sua funzione di necessità fisiologica e di relazione quotidiana mentre il cantante che vuole elevarsi, grazie a un specifica disciplina respiratoria artistica, scoprirà che la vocalità va oltre questi due registri, si proietta verso la conquista di una "nuova" corda, una corda unica, senza passaggi, senza salti, senza scalini. Questa corda è davvero oltre, nel senso che sembra di dover "passare" a un ulteriore registro, quello della purezza, dell'assenza di materia, di ostacoli, di resistenze e attriti. Questo richiede naturalmente un consumo d'aria e un equilibrio fonico inimmaginabili; richiede molta fiducia, coraggio, volontà. Ma tutti ci potrebbero arrivare.
Il mio maestro mi faceva spesso cantare l'aria dell'Ernani "Ah, de' verd'anni miei", e mi spiegò che quella parola, credo ignota anche alla gran parte dei baritoni che l'hanno più volte cantata, i "vanni", indica la parte più estrema delle ali dell'aquila. Allora, cantanti, allievi, anche voi insieme alla vostra voce spiccate il volo, abbiate coraggio e virtù, ed elevatevi ed elevate la vostra voce spianata come le grandi ali dell'aquila e non richiudetele, ma percepite l'aria che sorregge voi come la vostra vocalità pura e libera, e abbandonate le sciocche, banali e effimere velleità del canto materiale e muscolare, incomprensibile e rumoroso. Dite e fondetevi con la grande musica che fu scritta insieme alle parole.

PS: noto che spesso c'è la tendenza da parte degli allievi a far convergere le vocali - compresa la I - nella parte centrale della bocca. In questo senso ben venga il sorriso che aiuta a distendere e orizzontalizzare (con le dovute cautele). Allora, in riferimento al tema, librare la voce con le ali aperte, divergenti, e nel cielo libero.

lunedì, novembre 24, 2014

La società specchio della mente

Quando penso al tempo che richiede lo studio del canto artistico, alla immensa pazienza, all'energia, alla ripetitività delle parole, degli esercizi, degli errori... mi vengono in mente quelle persone che ti dicono: "ma sei matto? ma non hai niente di meglio da fare?" La cosa impressionante è che spesso queste persone... sono i nostri genitori!! A volte lo dicono con un fine benevolo: evitare di farci finire in una situazione idealistica distaccata dalle necessità pratiche della vita; altre volte proprio perché non riescono a comprendere che una persona (un loro figlio!) possa essere attratto da passioni così poco redditizie, poco rassicuranti sul piano economico, pratico, politico, ecc. Ma quest'ultima condizione è molto diffusa a livello sociale. Gli artisti spesso sono additati come dei matti, degli originali, ma anche presuntuosi, inavvicinibili, scostanti, asociali, ecc. Non che in molti casi questo non sia vero, e in quasi tutti questi casi si tratti effettivamente di originali che con l'arte hanno poco o niente a che spartire, però si fa di tutt'erba un fascio, anche perché mancano del tutto i criteri per poter riconoscere e individuare chi veramente ha un rapporto diretto con l'arte e chi solo con l'estro fantasioso e chi, nei casi migliori, con l'abilità. Ma questo atteggiamento della società non è altro che lo specchio della mente, della mente di ognuno. Essa ha un ruolo e una funzione: deve occuparsi di tutte le problematiche del nostro corpo nella dura lotta alla sopravvivenza quotidiana. Noi non ce ne rendiamo conto, ma le funzioni sono veramente tante, e non per nulla l'uomo d'oggi va incontro a problematiche mentali non trascurabili. Come può il nostro cervello permettere che un'attività del tutto superflua alla vita pratica come può essere svolgere un'attività artistica possa assorbire tanta energia, come può essere l'impegno di esercizi quotidiani, studio, coinvolgimento corporeo e mentale? Ed ecco quindi che essa si comporti come certi genitori e come gran parte della società, cioè cerchi di allontanarci da quella attività, cerchi di convincerci sulla sua inutilità, sulla astrusità e utopia delle nostre passioni e dei nostri obiettivi.
Anche se noi lo consideriamo un elemento negativo, può subentrare una motivazione trainante: l'ego! L'ego o meglio ancora il narcisismo crea una motivazione forte per indurci a lavorare a una finalità artistica. Si tratta, a un certo punto, di realizzare il limite fortissimo di questa spinta e superarla per far vincere l'esigenza spirituale più profonda e avvincente... se c'è!

domenica, novembre 16, 2014

Il trattato - 13

Iniziamo la pubblicazione del secondo capitolo: La respirazione.

La respirazione applicata al Bel Canto, quale alimentazione dei suoni emessi da uno strumento (quello umano) opportunamente formato attraverso una seria e feroce disciplina (giacché lo strumento perfetto in natura non esiste mai), concorda con la respirazione fisiologica solamente in quanto azione intesa come scambio gassoso,
perché se noi vogliamo intenderla come alimentazione dei suoni, osserveremo che mentre la respirazione atta al Bel Canto è una conquista sensoria applicata a produrre suoni in purezza in uno strumento perfettamente formato e docile in tutto la sua motilità ed elasticità, ovvero non condizionato nella maniera più assoluta dall'istinto, la respirazione fisiologica (cioè quella istintiva o di relazione, idonea alla sopravvivenza della specie), per quanto tecnicizzata, quando viene utilizzata per alimentare i suoni vocali conseguenti una certa conformazione pseudo-strumentale segue la logica dell'azione istintiva stessa entro quei limiti di tolleranza elastico-motoria che sono propri dell'istinto medesimo
.
Il passaggio credo possa risultare molto chiaro nella sua stesura originaria; in ogni modo provo a esporla sinteticamente: il fiato fisiologico ha in comune con la respirazione artistica, cioè la respirazione che consente un canto esemplare, solo il materiale, cioè l'aria; lo studio condurrà a qualificare il fiato in modo da renderlo idoneo all'esigenza vocale. La tecnicizzazione respiratoria opera entro i limiti posti dall'istinto (tolleranza), cioè non può condurre a una assoluta libertà.
Questa tolleranza ha, ovviamente, dei limiti invalicabili soggettivi, perché vi sono esigenze comuni di sopravvivenza e condizioni esistenziali diverse che favoriscono o meno la sopravvivenza stessa. Quindi qualsiasi condizione esistenziale porta con sé una respirazione fisiologica relativa, una respirazione che è comunque difettosa se confrontata con quella da noi intesa come artistica.
Le differenze tra le persone coinvolgono sempre anche la respirazione, e questo spiega perché alcuni riescono a esprimersi vocalmente a buoni livelli già spontaneamente mentre altri, pur con tutta la buona volontà e anni di studio (tecnico), non riescono a esprimersi a livelli accettabili.
Con la respirazione artistica si possono ottenere suoni in purezza che non hanno e non possono avere un oltre per tutta l'estensione vocale; nella respirazione fisiologica, invece, il difetto è sempre più o meno in atto, anche se non evidenziato se non da chi ha sublimato l'atto. Ciò significa che, per ottenere una respirazione artistica atta al Bel Canto, si devono superare quelle condizioni di sopravvivenza comune che tendono a soddisfare l'esigenza respiratoria contingente di ogni singolo.
La frase è eloquente, ma nondimeno può sembrare iperbolica. In realtà non c'è alcuna contraddizione o esagerazione; "superare le condizioni di sopravvivenza comune" significa semplicemente che occorre sviluppare la respirazione, che conserverà naturalmente tutte le caratteristiche fisiologiche, ma perderà alcuni aspetti reattivi che rendono difficoltosa la fonazione in quanto non compresa nelle condizioni di vita contingenti. Sviluppare però non significa semplicemente "più fiato", cioè maggiore quantità, ma una qualità. Questa è la differenza significativa tra una scuola tecnica e una scuola artistica.
Per superare l'istinto è indispensabile sottoporsi alla disciplina.

mercoledì, novembre 12, 2014

Dell'allineamento

Ho già espresso questo concetto in una risposta, ma penso che sia degno di una collocazione più visibile. E' stata fatta una critica a questa scuola relativamente all'azione di "perfezionamento della pronuncia". Confermo che è così e non avrei niente da rivedere o modificare in merito a ciò; chiunque presti un po' di attenzione - e non mi riferisco a esperti di nessun tipo - a come si parla, si renderà conto che le abitudini, l'ambiente familiare, le cadenze dialettali o linguistiche, la pigrizia, le necessità legate a particolari ambienti di lavoro (scuola, cantieri, fabbriche, ecc.) non fanno altro che distorcere e rendere la pronuncia difettosa, carente, povera. Dunque l'azione correttiva non è solo necessaria, ma indispensabile. Però chi critica può obiettare - come obietta - che l'azione correttiva può togliere la spontaneità, la naturalezza, la sintonizzazione tra gli apparati. Vero, ma non necessariamente è così; si tratta di farlo nel modo corretto, e cioè non cambiare le proprietà fondamentali del parlato, e quindi non trasformarlo in declamato o parlato "impostato", cioè non renderlo artificioso, irreale, imitativo, falso nel suono quanto nel significato, ma, anzi, rendere l'allievo sempre più consapevole del rapporto tra significante e significato. Adesso posso dirlo anche meglio.
Ho, in diversi post, scritto che la nostra mente possiede già la vera e corretta pronuncia; i bambini, ad esempio, emettono le vocali con molta maggior disinvoltura, genuinità di quanto non si faccia in seguito; questo anche perché il loro fiato è molto più tonico e adeguato e tutta la struttura muscolare e dei tessuti elastica e pronta. In definitiva, quindi, noi ci troviamo a fare un lavoro che possiamo definire di ALLINEAMENTO della pronuncia operativa, che si troverà in una condizione di impoverimento per le motivazioni suddette, a quella ideale, cioè mentale. Detto ciò, preparatevi a lavorare per almeno un paio d'anni a condizioni durissime e sotto una abilissima guida, perché questo concetto elementare è uno dei più difficoltosi da mettere in pratica e raggiungere.

giovedì, novembre 06, 2014

Il limite melodico

Dire, pronunciare una frase senza intonazione ci pone, solitamente, in una dimensione di libertà che non riusciamo a ritrovare nella stessa frase melodicizzata. O meglio: non sempre. Ci sono brani ai quali si accede con una certa facilità e una certa tranquillità. Questo è dovuto per lo più alle nostre caratteristiche personali. Si potrebbe dire che ognuno di noi ha una sua "tonalità" soggettiva, una propria tessitura di elezione e così via (per la stessa ragione troviamo brani agevoli ed altri ardui) ( è anche vero, però, che ci sono degli standard, gli stessi che determinano le "classi" vocali (tenore, baritono, ecc.), che rendono "scomodi", difficili, perigliosi determinati passaggi, piuttosto unanimemente riconosciuti). Questo si comprende anche nei primi esercizi e, peggio, tra coloro che hanno un cattivo studio alle spalle. fate dire con linguaggio parlato una qualunque frase, poi la fate intonare e perderà immediatamente ogni traccia di spontaneità, di chiarezza, di intenzionalità. Da qui possiamo trarre qualche indicazione didattica. Due, direi, sono le conseguenze interessanti da desumere: qual è l'area tonale più indicata al soggetto e come fare a migliorare la "posizione" (avanzata) del canto dove questo non avviene facilmente. Sono efficaci ed utili esercizi il far dire frasi con dinamiche molto diverse, dal bisbigliato al detto ad alta voce, come se si parlasse a qualcuno che si trova dall'altra parte della strada. Il passaggio successivo sarà quello di adeguare a ciascuno di questi esempi a uno nota o comunque a un'area tonale. In questo modo la facilità e la spontaneità del parlato semplice potrà trasferirsi alla melodia.

giovedì, ottobre 30, 2014

Della Natura umana

La voce non ha bisogno di "tecniche" per essere educata, non essendo uno strumento "meccanico", ma frutto del pensiero, della creatività, dell'intuizione, della fantasia. Tutt'al più è necessario uno studio, che possiamo definire tecnico, per l'esercizio e l'apprendimento del linguaggio stilistico-musicale.

Natura: il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi. 

La semplice immagine a sinistra ci ricorda la suddivisione generalmente accettata: regno inanimato e regno dei viventi, suddiviso in animale e vegetale. La vignetta, nello spazio "animale" non inserisce l'uomo, mentre analoghi grafici presenti in internet, soprattutto a scopo didattico, lo prevedono. Qui già si potrebbe porre un interrogativo. Prima di rifletterci facciamo un'altra domanda: cosa sta fuori da questo insieme? Ovviamente ci sta tutto ciò che ha realizzato l'uomo fin dalla sua apparizione: oggetti, invenzioni, ma anche modificazioni della natura stessa, come gli incroci di piante e animali e quindi anche tutto ciò che rientra nell'arte, sia nell'accezione esteriore, quindi il manufatto, qualora lo sia, sia - fondamentalmente - il pensiero che sottende. La successiva domanda è: a quale insieme appartiene la natura più ciò che sta fuori, cioè l'opera umana? Mi permetto di suggerire: alla Conoscenza. Ognuno però può portare le proprie argomentazione a sostegno di tesi diverse. Detto ciò torno alla questione della posizione dell'uomo in questo insieme. Che faccia parte della Natura e del regno animale, non c'è dubbio. Ma può darsi che egli stia a cavallo di due ambiti? A mio avviso sì; se tutto ciò che sta fuori dell'insieme "natura" è frutto dell'uomo, mi pare piuttosto logico che anche l'uomo, almeno in parte, appartenga a questo settore, che rientra peraltro nel più vasto ambito della Conoscenza. Il riferimento alla Natura Umana, pertanto, può verosimilmente far capo alla specificità di un Essere che pur appartenendo in gran parte al regno animale, possiede un quid (che possiamo sintentizzare in "pensiero") che gli permette di interagire e anche modificare alcuni aspetti dei regni naturali e di produrre, o meglio, creare, opere concrete ma anche del solo pensiero, che vanno a collocarsi in un ambito extranaturale, che talvolta chiamiamo 'artificiale', altre oggetto d'arte o d'artigianato, o del pensiero, ecc. Molto spesso la collocazione in un ambito in un altro assume un valore dispregiativo o qualificante. Se dico che un oggetto è "artificiale", in genere ne sottolineo un aspetto di distacco dall'uomo e dagli altri elementi della natura. Se dicessi che un quadro è "artificiale", sicuramente verrebbe preso come una critica negativa, mentre un qualunque oggetto o frase, se dicessi che è un'opera d'arte, lo valorizzerei molto. Eppure, a ben pensarci, le due cose collimano, ma qualcuno potrebbe dire che l'arte è "naturale". E perché? Si potrebbe dire che lo è perché frutto dell'uomo, che è un essere naturale, ma a questo punto o tutto ciò che è fatto dall'uomo rientra nel naturale, oppure no. Alcune operazioni possono rientrare nella naturalezza, cioè tutto ciò che non è orientato a modificare temporaneamente o permanentemente le caratteristiche di ciò che esiste. E infine possiamo dire che l'uomo, almeno in piccola parte, fuoriesce dall'insieme del regno animale della natura, in quanto ha compiuto modificazioni permanenti su di sè. Il fatto che tramite l'assunzione di farmaci e pratiche di vario genere possa vivere più a lungo di quanto non accadesse anche solo pochi anni fa, possa guarire da malattie e incidenti, possa svolgere attività superiori ai propri mezzi, come spostarsi su terra, mare cielo, comunicare a grandi distanze, ecc., lo pone al di fuori di quel quadro.


Se fate una rapida ricerca su google in relazione a "natura umana", vi si apriranno un numero considerevole di link. E' un campo molto ampio e tocca gli ambiti più disparati e soprattutto si inserisce in un dibattito alquanto acceso. A me non interessa in questa sede entrare in merito al dibattito, però ci sono questioni che riguardano molto da vicino il canto, dunque non posso astenermi dal fare qualche considerazione.
Comincerò con una visione un po' generale delle scuole di canto. L'approccio delle scuole all'insegnamento della vocalità è di due tipi, (di cui uno scisso): tecnicismo e naturalismo; l'approccio tecnicistico può essere di tipo sensorio o meccanicista. Altro dato da mettere sul piatto: il naturalismo.

Raccordandoci con la premessa, la domanda è: può esistere un canto realmente "naturale"? No, il canto è frutto del pensiero; la stessa parola è in relazione con la quota "conoscitiva" dell'uomo, non con la sua appartenenza al regno animale, o, anche fosse, si tratterebbe di un canto assimilabile a quello animale, bello o brutto che sia (e il solo fatto di qualificare ci pone in ambito sopranaturale). Poniamoci in un'ottica più possibilista e proseguiamo.
L'antitesi tra scuole tecniche e naturali non ha ragione di esistere se non definiamo meglio cosa si intende con canto naturale. Nell'opinione pubblica legata in qualche modo (o per fruizione o per attività amatoriale o professionale) al mondo del canto, la terminologia "canto naturale" è generalmente riferita a un canto spontaneo, dove non vi è stato nel tempo alcun apporto di tipo educativo o correttivo. Potremmo dire, quindi, un canto basato sul semplice parlato intonato su una melodia. Possiamo riferirci per esempio al canto in chiesa, sia assembleare che dei semplici cori parrocchiali privi di una scuola. Il passaggio di un canto siffatto a un procedimento educativo di qualsivoglia genere, vuoi per migliorare una dizione affetta da evidenti cadenze dialettali, vuoi per fornire una più efficace respirazione di base, è da considerare tout cour un trascendimento della cosiddetta naturalezza, perché anche la semplice attenzione che un insegnante induce in un cantante rispetto al proprio modo di emettere la voce, lo pone in una condizione per cui non si sentirà più libero (e pur non essendolo comunque!) di esprimersi vocalmente con naturalezza. Le asperità, le imprecisioni tonali, le storture testuali, le difficoltà di tessitura, di fusione con altri strumenti o cantanti, di cui un soggetto è all'oscuro, e che lo pongono in una condizione di tranquillità e di relativo piacere, vengono rapidamente meno, perché ogni errore segnalato diventerà una ossessione. Soprattutto, una volta apertosi il vaso di pandora, il soggetto si sentirà in grave imbarazzo per tutto ciò che commette e che sempre più vivrà come un dispregio alla cultura musicale e canora. Fortunatamente questi soggetti si sentono sufficientemente confortati dal fatto che, frequentando adesso una scuola, auspicano di colmare queste lacune e di potersi inserire più responsabilmente e pertinentemente in quel mondo. Scuola di canto naturale è una contraddizione in termini; se c'è una scuola, il canto non può più essere naturale, dunque si tratterà di un canto che evita determinate strade, quelle meccanicistiche e sensoriali, e questo è già buono, ma qualcosa dovrà fare e questo qualcosa "sviluppa", corregge, modifica, interviene sul suono naturale e di conseguenza lo porta a livello superiore (si spera) con una aumentata presa di coscienza di ciò che era e di ciò che è diventato. Anche questo fattore di consapevolezza (che è informazione ma anche sviluppo conoscitivo) si pone a un livello sopranaturale.
Con questo possiamo giungere al nocciolo della questione. Dal momento che l'uomo non si accontenta, per determinati scopi e in determinati ambiti culturali, di ciò che la natura ha fornito, metterà in atto delle azioni allo scopo di raggiungere un livello superiore di soddisfazione proprio e altrui, non dettato semplicemente da caratteri di esteriorità e piacere sensoriale, ma di soddisfazione e appagamento interiori. Qui entra in gioco la natura UMANA. Se noi parliamo in termini generici di natura e facciamo rientrare l'uomo in questo insieme, lo consideriamo parte di un tutto eco-biologico all'interno di un sistema formato da esseri ed elementi inanimati ed esseri viventi in un (fragile) equilibrio interattivo. In questo quadro non esiste e non può esistere alcuna funzione artistica, che avrebbe peso zero su questa bilancia, non apportando e non togliendo niente al sistema. Ecco che quindi, e fin dall'antichità, si è dovuto far ricorso a un termine specifico "natura umana" per indicare una singolarità, una peculiarità dell'uomo non condivisa e non trasmissibile geneticamente e non riproducibile in altri esseri e in altre forme meccaniche. Allora se diciamo che il canto appartiene alla NATURA UMANA, ecco che ci ritroviamo e tutto torna a posto. Purtroppo questo concetto non trova tutti unanimementi concordi, non è chiaro e noto a tutti, e a non tutti è chiaro cosa ci sta dentro e cosa no.

Ultima cosa: in che posizione si trova il famoso istinto, che la mia scuola di canto individua come principale causa della difficoltà al raggiungimento di un risultato vocale esemplare (ma che non ha niente a che vedere con il concetto di natura "matrigna")? A questo punto è semplice: l'istinto è a tutti gli effetti un elemento appartenente alla Natura, non alla natura UMANA, cioè non rientra nella sua sfera l'attività che il soggetto compie al di fuori della sua appartenenza al regno animale, cioè ciò che è frutto ed espressione del pensiero, della creatività e della Conoscenza al di fuori dell'ambito dell'ecosistema e quindi è fatale e normale che lo ostacoli per deficit di informazioni. Se noi forniamo dati utili, ecco che anche l'istinto comprenderà e permetterà ciò che non poteva sapere, ma lo può fare anche grazie al fatto che il canto esemplare è presente in una natura POTENZIALE (non so se abbia qualche riferimento a una non meglio definita "seconda natura" di cui ho scorto tracce in internet), cioè una condizione "dormiente", perché non utile alla condizioni attuali dell'uomo, ma che potrebbe svegliarsi in una condizione imprevedibile ma non impossibile.

domenica, ottobre 26, 2014

Pronuncia e amplificazione 2

CONTINUAZIONE DEL POST PRECEDENTE, DA LEGGERE PRIMA...

Come in molti casi, la storia della voce e del canto e l'intuizione artistica ci portano a comprendere qual è la verità di un canto esemplare, e cioè di NON CERCARE una soluzione artificiale, pseudo scientifica, intellettualistica del problema amplificante, ma consentire al nostro corpo di svolgere i compiti cui è preposto senza interferire. Da qui si potrebbe pensare un mio avvicinamento o adeguamento alle scuole "naturalistiche". Il mio pensiero in merito è sempre stato molto chiaro: il canto non è naturale, ma lo è POTENZIALMENTE. Il canto non serve alla vita "animale" dell'uomo, come non serve alcuna arte, che devono, pertanto, essere conquistate disciplinando il corpo o la parte del corpo a quella determinata pulsione artistica. Questa dichiarazione non deve essere arbitrariamente intepretata come un avvicinamento a teorie meccaniciste, scientifiche o variamente tecnicizzate, peraltro mi sento di dichiarare che, nella discussione, in fondo sono più "naturalista" dei naturalisti. Infatti il mio punto di vista, ovvero della mia scuola, è che è una conoscenza profonda di come siamo fatti, di quali motivazioni stanno alla base delle difficoltà nell'affrontare una determinata attività, delle osservazioni storiche anche di tipo pubblicistico e registrografico, che portano alla soluzione che consiste nel permettere al nostro corpo di modificare i propri comportamenti nei riguardi di una nuova necessità e non nel pretenderla coercitivamente; la soluzione naturale non è quella di estorcere dal nostro corpo dei risultati forzati, di dare il 150%, ma al contrario, di stimolare uno sviluppo GIA' PREVISTO, presente, ma occulto, non manifesto perché non gradito dal nostro sistema di funzionamento che non ama modificare o aumentare l'impegno complessivo o di parte dei propri apparati. Dunque, cosa c'è di più naturale, nell'uomo, della parola nel manifestare la voce? Niente, perchè il "vociferare", cioè emettere suoni inarticolati è proprio delle altre specie animali. Se gli animali possono emettere suoni di grande intensità e capacità diffusiva, perché la natura avrebbe moderato, limitato questa possibilità nell'uomo nel donargli una possibilità in più, quella del parlato? Se vogliamo credere nella superiorità dell'uomo rispetto le altre specie, non possiamo non credere che questa sua prerogativa, il parlato appunto, non abbia un valore, una qualità ma anche una potenza "in sé" superiore che gli permetta come e più di ogni altro animale di farsi valere in ogni condizione. E' quello che, senza forzature, desumiamo dalle registrazioni e da scritti e pensieri lasciati da valenti maestri del passato; poco ci riguardano invece quelli di personaggi anche celebri che non si sono contraddistinti per il loro carattere didattico e della diffusione di un pensiero artistico.
Il pensiero che ci conforta è che la parola ha in sé un potenziale sia di significato che di significante in grado di richiamare l'attenzione di chi ascolta. Manca la disciplina per lo sviluppo, la quale NON PUO' passare per altre strade, quindi, riportandoci all'inizio del post precedente, non è come si produce il suono ciò cui bisogna prestare attenzione, ma cosa abbiamo come risultato. Pensare di mettere insieme volontariamente la parola con l'amplificazione, non può portare che a un "divorzio", una divisione, uno scollegamento tra l'uno e l'altro. Siamo dotati di un apparato che è nel contempo articolatorio e amplificante, se io voglio o penso di esaltare in qualche modo il secondo, distruggerò il primo e viceversa. Questo per dire che anche la cura della parola non è casuale o esaltatrice di effetti, perché come giustamente si osserva, si può giungere a declamazioni, a schiacciamenti, a storture foniche e semantiche del tutto inappropriate. Quindi, per concludere: la parola è parola, ed è su quella che si deve basare la disciplina. La pronuncia è AVANTI, e non è possibile, è sbagliato, deleterio, non bio-logico, pensare o tentare di pronunciare correttamente, nel canto come in altre attività cercando un'amplificazione in altri luoghi, siano essi "la maschera", la gola, il torace o dove altro si possa pensare. La parola si amplifica da sé, in quanto frutto di un processo evolutivo che non possiamo credere essere limitativo. L'amplificazione della parola nel canto è il massimo che l'uomo possa esercitare vocalmente, ed è già compresa nell'uomo, occorre esercitarla, e quindi svilupparla, con pazienza e tenacia NON CERCANDO, NON COSTRUENDO, NON SPINGENDO o GONFIANDO, ma con la semplicità, la pazienza e soprattutto TOGLIENDO da essa tutti gli errori, le distrazioni, le enfasi, le storture di un'accentazione impropria, gli "arrotondamenti", i biascicamenti, le "uniformazioni" che altro non sono che maldestri escamotage per cercare strade facili (non semplici) per risultati rozzi o incompleti. Solo persone prive di pregiudizi e buona disposizione all'ascolto e al dialogo possono imboccare questa strada. Le altre è meglio che seguano altri percorsi.

Pronuncia e amplificazione

Perché tante persone che si occupano di canto lirico restano dubbiose se non contrarie o addirittura ostili all'ipotesi di un'educazione vocale, quindi respiratoria, basata sulla pronuncia? Checché ne dicano i sapientoni, tutti i trattati antichi sul canto e il suo perfezionamento passano attraverso dizione, parola, "acconciatura" della bocca. Dunque come si spiega questo allontanamento dalla fonte principale e "madre" dell'arte vocale? E' abbastanza semplice, riflettendoci un po'. A partire dalla fine dell'Ottocento e via via sempre più salendo lungo il Novecento, il ruolo della gola, degli spazi oro-faringei, è stato sempre più oggetto di interesse e coinvolgimento da parte dei cantanti e delle scuole di canto, soprattutto a causa della continua osservazione da parte degli studiosi scientifici del fenomeno canto, che non hanno studiato (forse perché non ne hanno modo) il fenomeno vocale nella sua unicità e complessa unitarietà, ma nelle sue parti singole e staccate, concentrandosi in particolare sul funzionamento della laringe. E' avvenuto quindi che l'interesse dei cantanti e degli insegnanti si è spostato dal risultato (cioè l'emissione) alla meccanica produttrice, e tradendo, in fondo, proprio un principio naturale, cioè che l'uomo ha già in sé le potenzialità per raggiungere un canto ideale, quindi andando a modificare volontariamente spazi e posture interne, si demolirà sistematicamente un complesso già perfetto nella relazione tra le parti, solo da sviluppare nella sua componente amplificante e musicale. Ma il problema, per l'appunto, che tutti inseguono maniacalmente, è l'amplificazione. Come è noto per molto tempo [parliamo sempre di tempi recenti, però], sempre a causa delle superficiali analisi scientifiche, si pensò che il sistema migliore per amplificare la voce fosse quello di inviarlo nelle "cavità superiori", cioè seni nasali, sfenoidali, frontali, ecc., definendo questa pratica "immascheramento" del suono. Celletti ne era il sommo diffusore. Una congerie pasticciata di teorie e analogie col mondo strumentale meccanico assolutamente in contrasto con ogni bio-logica e ogni semplice osservazione di come funzioniamo e come siamo fatti. Fu, tra l'altro, il motivo di rottura con il mio primo insegnante, che a suon di incitazioni a mettere il suono in alto, tra gli occhi, nella fronte e così via, mi suscitò una domanda: ma da dove esce? E la risposta non poté che lasciarmi basito: "dagli occhi, dalla pelle, ecc."
Se cominciamo a escludere che la voce possa uscire dalla bocca, già siamo su una cattiva strada. Ma anche ammettendo ciò relativamente a "suoni" astratti, il principio va in frantumi quando ci si pone nella necessità di articolare le parole. Come si fa a pronunciare una parola (e la pronuncia non può fare a meno dei movimenti delle parti orali: labbra, lingua, mandibola...) quando il suono che la sostiene è in un altro posto, cioè, secondo costoro, nelle "cavità superiori"? Vivono da divorziati, separati in casa? No, questa teoria cominciò presto a far acqua - nonostante sia fortemente sostenuta ancor oggi da molti cantanti di quell'epoca - che non hanno sentito che è caduto il muro di Berlino - e gli stessi foniatri tornarono sui propri passi dicendo che il suono nel naso non va bene - e nonostante alcuni addirittua sostengano che la voce deve risuonare nel naso!  - anche perché le stesse pareti di quegli spazi tendono ad assorbire il suono. I tanti cantanti nei masterclass in cui propinano queste idee e gli insegnanti ancora in auge che scelgono questa strada, devono per forza sottostimare la pronuncia, tecnicizzando la voce esclusivamente sulle vocali e "uniformando" (mon Dieu) le vocali internamente (in pratica sulla U) e di fatto uccidendole, e di conseguenza uccidendo il canto.
Si tornò in molti casi a indicare la bocca e le zone dentali superiori come corretto punto focale del suono vocale. Ma questo non soddisfaceva molti che cercavano di raggiungere il massimo potere amplificante, e non sembrava questa una soluzione né rapida né intellettualmente valida. Ciò che sembrava mancare in questa modalità era la presenza di spazi proporzionati al risultato: uno strumento è valido se possiede una proporzionata cassa di risonanza amplificante. Visto che l'idea degli "spazi superiori" sembrava non adeguarsi al funzionamento complesso dello strumento vocale, si andò verso quello più prossimo, cioè lo spazio faringeo o, nel migliore dei casi, quello oro-faringeo, cioè, "parlando come magnamo": bocca e gola. Questi SONO spazi, quindi che ci sarebbe da fare? "Allargarli al massimo", han cominciato a dire; più spazio c'è più la voce si amplifica. Qui si innesta la strada in parte già percorsa dagli eredi di Garcia, il quale osservò che nel colore oscuro la laringe scendeva e lo spazio sopraglottico si ampliava. Allora fu tutt'uno coniugare il colore oscuro alla voce ampia e sonora. Il che è vero, almeno in parte, perché il colore oscuro provocando un sensibile abbassamento della laringe, consegue anche un abbassamento del diaframma e quindi un drastico appoggio, che procura suoni forti e timbrati. Il che non significa che essi siano "i più" sonori e vocalmente validi, anzi, non lo sono affatto, ma questo è un risultato commercialmente valido, perché in poco tempo soddisfa i palati più a buon mercato, i malati di ego-narcisismo e così via. Non tanto dissimile è la scuola cosiddetta dell'affondo, che ottiene risultati ancora più maiuscoli mediante spinte verso il basso, che da un lato aumentano l'appoggio diaframmatico, dall'altro, con l'abbassamento della laringe, provocano una dilatazione del faringe, quindi un maggior spazio in gola.
A parte le tantissime obiezioni che si possono fare a tutte queste tecniche, due ci premono: innanzi tutto la semplice osservazione che la dilatazione volontaria degli spazi oro-faringei provoca scurimento del suono, perché è una legge fisica che a maggior spazio corrisponde un colore sonoro più scuro. Questo è stato by-passato imponendo l'assurdo concetto che la lirica vuole suoni scuri, e in particolare le voci drammatiche. Andate a guardare le cronache musicali del 1900: Tamagno era considerato il più grande tenore drammatico dell'epoca; ascoltate la voce di Tamagno nelle registrazioni rimaste e considerate che questo tenore cantava abitualmente opere come Guglielmo Tell, e poi traetene qualche considerazione. Si pensa che la scuola del Garcia abbia di fatto dato vita alla stagione del colore oscuro, ma non è vero, infatti dopo oltre mezzo secolo le voci imperanti cantavano tutte ancora con perfetta dizione e colore chiaro. Questo perché oggi si vuole "interpretare", come al solito, il pensiero dei trattatisti antichi senza considerare i riscontri pratici. L'altro inganno è stato l'incolpevole Caruso, che ci ha lasciato soprattutto un patrimonio discografico in cui sentiamo quasi sempre un tenore scuro e dove il repertorio è prevalentemente di forza, o drammatico. Ma chiunque conosce un po' la storia del canto sa che Caruso era un tenore lirico di grazia, dotato di un accento drammatico (che è altra cosa) formidabile, e che trovò nella registrazione discografica, anche pionieristica, un mezzo fantastico di esaltazione di sé stesso, con un uditorio sterminato e oltre i limiti del teatro, infatti alcuni ruoli non li affrontò, o solo sporadimente. Caruso cantava con timbro chiaro e ottima dizione, come tutti i suoi coetanei, ma ciò che nel 90% dei casi per un cantante è una tragedia, cioè un'operazione chirurgica in gola, per lui si dimostrò una miniera d'oro! A causa dell'operazione e di un ispessimento dei tessuti che ne conseguì, il suo timbro si scurì naturalmente; questo ebbe un felicissimo esito soprattutto in sede discografica, perché la sua voce risultava molto più drammatica e ricca di quanto non avvenisse in teatro, pur mietendo grandi successi, giustamente, perché era un "animale da palcoscenico", dotato di una grande forza teatrale; da quel punto di vista il suo successo non avrebbe avuto particolari differenze se non ci fosse stata l'operazione di mezzo, ma l'incredibile successo dei suoi dischi portò a quella notorietà mondiale che ne fece un divo incontrastato (e ricchissimo). Dall'altro canto provocò, come sempre in questi casi, l'imitazione da parte di chi voleva replicare quei risultati di notorietà. Persino un tenore formidabile come Martinelli, che aveva ben poco da invidiare al collega, cercò artificialmente di scurire il proprio timbro. E di qui, pertanto, non da Garcia che non c'entra niente, iniziò la rincorsa al popolare e vincente colore scuro, entro cui si inserirono i vari Del Monaco e Domingo, che, in particolare nel primo caso, ben poco hanno a che spartire con Enrico. Seconda cosa, connessa con la prima: siamo di nuovo da capo: se non era pensabile coniugare il suono "in maschera", cioè risonante, formato, nelle cavità superiori, non diversamente avviene tra una pronuncia che è fondamentalmente avanzata e una volontà di gestione volontaria degli spazi posteriori, quindi la pronuncia e la dilatazione degli spazi interni (anche semplicemente per rilassamento), non possono coesistere "pacificamente".
Siccome sto nuovamente scrivendo un poema, sospendo qui e riprendo in un altro post.

lunedì, ottobre 20, 2014

Ancora i registri? Ma basta!!

Nel blog sono presenti numerosi post riguardanti i registri, però ho pensato di fare una sintesi (non tanto breve, per il vero) alla luce anche di alcune discussioni in rete (che, stavolta, non mi riguardano direttamente).

Partiamo dall'affermazione che il passaggio di registro non esiste, secondo alcuni.
La domanda che dobbiamo porci è: cosa sono i registri, perché, eventuamente, ci sono, e quindi cos'è o cosa potrebbe essere il "passaggio".

Geniali uomini in passato hanno costruito strumenti musicali meccanici, cercando in molti casi di avvicinarsi all'emissione umana. Alcune caratteristiche, come l'articolazione, non sono neanche state minimamente avvicinate; in mancanza di questo sono state esaltate alcune caratteristiche che negli strumenti risultano più facilmente esperibili, con adeguata tecnica, come l'agilità e l'estensione (e in questo caso si è cercato di avvicinare l'emissione umana a quella strumentale).

L'altra cosa che non è mai stata avvicinata è la produzione mediante una sola corda (o coppia); tutti gli strumenti a corda ne possiedono diverse, in quanto è inconcepibile poter suonare melodie di una certa complessità con una sola corda (Paganini lo faceva, virtuosisticamente, ma in un'ambito limitato e solo a scopo spettacolare). Anche gli strumenti a fiato, pur basandosi su altri procedimenti, come gli armonici, possiedono diversi fondamenti.

Questo significa che sia gli strumenti a corda che a fiato possono eseguire alcune note in più posizioni; il "mi cantino" si trova a vuoto sulla prima corda del violino (o della chitarra) ma anche sulla seconda, terza e quarta corda, in posizioni più acute. Naturalmente cambiando la corda (che sarà più spessa su quelle più basse) o il fondamentale su cui trovare l'armonico, cambieranno anche le caratteristiche del suono ottenuto. A queste diversità di colore e di carattere, viene dato l'appellativo di "registro" che spesso si sposa a classi canore (la terza corda della chitarra ad es. viene definita "tenore"), per cui una certa melodia l'autore stesso prescrive che venga eseguita su una certa corda dello strumento ("aria sulla IV corda"), invece che in una posizione consueta, per dare a quel passo un carattere o colore particolare.

Prima domanda: nella voce umana è possibile produrre stesse note in "posizioni" diverse, cioè con caratteri o colori diversi? Sì, credo che tutti lo riconoscano, dunque il termine registro, pur essendo un termine acquisito dalla tecnica strumentale, quindi improprio, è giustificato.

In cosa consistono questi registri? Nel tempo sono state individuate tre metodologie di classificazione: una  più antica basata sulle sensazioni corporee (da cui "petto" e "testa") o di carattere (da cui "falsetto"); un'altra basata su movimenti cartilaginei (rotazione cricoidea), un'altra basata sulla postura cordale (corde sottili o spesse, bordo, muscolo vocale, ecc.).

Queste classificazioni sono realistiche ma incomplete, perché non sono relazionate all'elemento fondamentale di produzione, cioè il fiato! E' nel momento della produzione del suono, cioè nel momento in cui il fiato incontra le corde, che ogni tipo di classificazione si giustificherà, cioè la laringe ruoterà, vibrerà il bordo anziché il muscolo vocale, o si avvertiranno le vibrazioni in testa anziché nel torace, ecc.

Questa scuola concepisce il ruolo dei registri esclusivamente in relazione all'azione respiratoria. Prima di proseguire, però, dobbiamo ri-porci una domanda fondamentale: perché esistono i registri nella voce umana?
Non sembrerebbe molto logico che la natura preveda la possibilità di eseguire diverse altezze tonali in diverse posizioni, che è più un'esigenza meccanica, cui l'uomo, in ambito organologico, non ha ancora saputo rimediare. La questione, ancora una volta e naturalmente, riguarda proprio e fondamentalmente la respirazione!

Il fiato, in quanto funzione vitale primaria, necessita di un'energia costante durante la giornata lavorativa, specie se l'attività richiede un impegno fisico rilevante. Il sistema di funzionamento animale, per propria difesa, fa sì che tutto ciò che non è rilevante o ciò che non è in azione per un certo periodo di tempo, venga "spento" o ridotto ai minimi termini. Un arto che non è usato per un certo tempo (ad es. una gamba o un braccio ingessato) tenderà ad atrofizzarsi e richiederà, per il riuso, un periodo di fisioterapia. Il fiato ha un "minimo" necessario a cui si riduce ad es. di notte o nei periodi di degenza, ad es., ma anche quando l'attività lavorativa non è particolarmente intensa.

Mantenere in uso le corde vocali attive e toniche per circa due ottave o più, come richiede un'attività canora artistica professionale, necessiterebbe da parte del nostro fisico un esborso energetico troppo intenso, per cui è fatale che il nostro sistema riduca l'azione del fiato nei riguardi dello strumento vocale al minimo necessario, per cui vengono salvaguardate le azioni indispensabili, quindi l'alimentazione di una gamma relativa alla ristretta gamma del parlato e una limitata gamma per poter gridare, in quanto necessaria azione di difesa, offesa e richiesta di aiuto, ecc. Questo significa che l'uomo possiede POTENZIALMENTE un solo tipo di vibrazione cordale in grado di sostenere un canto OMOGENEO di qualità per circa due ottave, ma questa condizione è inibita dalla mancanza di una respirazione idonea, non necessaria all'uomo. Alcuni soggetti possono avere, per fortunato privilegio, la possibilità innata di poter cantare già naturalmente su un'ampia gamma, soprattutto per una dote fisica genetica, ma di eccezione si tratta e su cui non è saggio far grande affidamento.

A questo punto dobbiamo constatare che i registri vocali nella quasi totalità delle persone esistono; non ha molta importanza come si chiamano, ma dobbiamo considerare che quelli veri sono sempre e solo DUE. Sul fatto che si sentano in testa o in petto l'interesse è solo documentario, così come se la laringe si inclina o meno. Quello invece che ha rilevanza è la postura cordale, non in quanto dato fisico, ma in quanto RELATIVO ALLA RESPIRAZIONE, ovvero ALL'ALIMENTAZIONE. Infatti le due situazioni in cui si trovano le corde vocali nell'una e nell'altra condizione (chiamiamoli alla vecchia maniera Petto e Falsetto) richiamano una qualità alimentante diversa!

Le corde vocali nella condizione del parlato comune (ovvero registro di petto) si trovano in una postura rilassata, tant'è che la semplice pressione aerea le pone in una posizione convessa, cioè inarcate verso l'alto (in assenza di pressione aerea si trovano in posizione concava, cioè rivolte verso il basso - nel video presente sul sito ho spiegato male questo passaggio, me ne scuso). Quando ci si trova in questa condizione il bordo della corda praticamente non partecipa, mentre vibra la muscolatura vocale interna alla corda stessa.

Nella posizione di voce gridata (ovvero registro di falsetto) il bordo della corda si tende in virtù non più della muscolatura interna alle corde ma grazie a quella esterna alla laringe (e di qui la necessità dell'inclinazione). Il fatto di tendersi, significa offrire una resistenza molto maggiore al flusso dell'aria, rispetto al registro di voce parlata, per cui l'azione respiratoria non è la stessa, per cui ne consegue che, da un punto di vista spontaneo, naturale, i due registri nella quasi totalità dei casi non sono uguali in quanto richiedono un'alimentazione diversa.

Le due, diciamo, meccaniche, cioè corda tesa e corda convessa, che vengono anche definiti corda sottile (falsetto) e corda spessa (petto), percorrono entrambe un'ampia zona della gamma vocale, più spostata verso il basso quella di petto, più spostata verso l'alto quella di falsetto, ma con una quantità notevole di suoni che appartengono ad entrambe le corde (si va da un 60% nelle donne [ma anche meno nei soprani leggeri acuti], persino al 100% in alcune voci maschili), per cui è possibile fare le stesse note di petto O di falsetto (o come preferite chiamarlo), pur con colori diversi.

Se esistono note in duplice posizione e se ci sono note più proprie della prima corda (note centro-gravi) e più proprie della seconda (centro-acute), significa che eseguendo una scala ascendente a un certo punto dovrò passare dalla prima alla seconda, e discendendo dalla seconda alla prima. Questo è ciò che viene comunemente definito "passaggio di registro". Qui subentrano le classiche domande: dove va eseguito e come.

Facciamo un passettino indietro: abbiamo esposto che le due corde necessitano di alimentazioni diverse in quanto diversamente atteggiate. Questo però comporta dei problemi: nel momento in cui la pressione aerea deve aumentare per porre in vibrazione la corda maggiormente tesa, questo produce una ribellione da parte del diaframma che mal sopporta un aumento considerevole di impegno. C'è anche un altro motivo: la respirazione umana oltre che per l'ossigenazione del sangue serve anche come collaboratrice in azioni fisiche, quali il sollevare pesi e anche solo rialzarsi, mantenere una corretta posizione diritta e alcune azioni fisiologiche (si può facilmente sperimentare che durante alcune di queste azioni il parlare è molto difficoltoso). Il nostro istinto confonde facilmente l'impegno del canto con quello dello sforzo fisico, che comporta la chiusura glottica e il sollevamento del diaframma, per cui ci si trova, specie all'inizio dello studio, con la gola chiusa e la laringe alta, sospinta dalla pressione sottoglottica. Da ciò ne deriva che quando si prova a compiere il passaggio di registro, a causa dell'aumentato impegno respiratorio, il suono si spoggia, va indietro o addirittura non riesce. Qui nascono dunque i problemi molto seri per alcuni che iniziano lo studio del canto senza essere in possesso di doti privilegiate, ma possono nascere o apparire problemi anche per chi riesce, che diventano seri nel corso del tempo se non vengono affrontati efficacemente.

Si dice che il colore oscuro fu una "invenzione" di metà Ottocento, di cui si fece portavoce in particolare Garcia. La questione secondo me è stata male intepretata. Noi dobbiamo scindere due aspetti: le vocali scure e il colore oscuro. Se è vero, come è vero, che è possibile pronunciare le vocali in colore chiaro e in colore oscuro, e su questo possiamo convenire che fu una risorsa esplicitata dopo la metà dell'Ottocento, è altresì vero che esistono naturalmente vocali scure (come la U) e vocali chiare (come la I), e di queste si fece uso ampiamente anche nei secoli precedenti.

La vocale scura, così come l'oscuramento, produce un abbassamento naturale della laringe; questa posizione, che non richiede la volontà da parte dell'esecutore di una particolare azione fisica, contrasta la spinta sottoglottica da parte del diaframma, dunque è possibile eseguire un passaggio di registro laddove non risulta agevole o addirittura impossibile in colore chiaro, per cui il giovin tenore che sul fa grida emettendo una A, e la voce tenderà a spezzarsi proseguendo, avrà buone probabilità di riuscita se al posto della A pronuncerà una O o una U. Però non è detto e affermo subito, a scanso di equivoci, che questa NON E' LA soluzione. E' una strategia e una possibile soluzione transitoria.

Dunque l'emissione di una vocale scura o di una vocale (anche chiara) oscurata (che NON E' un'intervocale), può considerarsi una manovra tecnica per aggirare un ostacolo, onde permettere il passaggio di registro ove questo non avviene facilmente o non avviene per niente. ATTENZIONE! Non si deve confondere, come purtroppo si fa in una grande quantità di scuole, l'oscuramento con la "cucchiaiata", cioè fare una sorta di conato di vomito che fa "girare" il suono in gola, oscurato o meno. Questo non c'entra niente, la vocalità deve comunque essere libera per poter addivenire a un risultato che non sia pessimo!

Dove questo è bene che avvenga, cioè su quale nota? La questione è meno facile ma ha una sua logica, che si basa sull'equilibrio. Noi dobbiamo considerare che il do#4 per tutte le voci è da considerarsi l'ultima nota PROPRIA ove possa ancora avvenire una sovrapposizione dei registri, cioè fin qui è possibile, per quanto difficile e inopportuno, emettere note SIA di petto SIA di falsetto. Oltre diventa una distorsione e una improprietà grave. L'esperienza ha dimostrato che le voci che sfruttano tutta la gamma acuta della voce trovano il miglior punto di equilibrio sul fa3, per cui soprani, mezzosoprani, contralti e tenori avranno buon esito nel passare sul fa3 (prima nota di falsetto). Baritoni e bassi, che non possono sfruttare tutta la gamma del falsetto, abbasseranno rispettivamente di uno e due toni il punto di passaggio (mib3 e reb3). Il contraltino maschio è una voce particolare, che possiede una terza in più del tenore, potendo estendersi, come soprani e mezzosoprani, anche nella gamma che venne definita "di testa" dal Garcia, ove non esiste più sovrapposizione con il petto, ma prosecuzione di falsetto a corda parzializzata. Costui può passare come il tenore sul fa, ma in virtù di questo "prolungamento", molto più impegnativo e intenso di quello sopranile, può giovarsi di miglior equilibrio passando sul fa#3.

L'azione tecnica meccanica dell'oscuramento permetterà una soluzione altrettanto meccanica del passaggio; col tempo la soluzione dell'oscuramento può diminuire per la tendenza tollerante dell'istinto, che sotto allenamento può concedere più libertà e possibilità. Questa però, come si diceva, non è una soluzione, perché i registri continueranno ad esistere e quando mancherà l'allenamento i problemi sugli acuti si ripresenteranno, senza contare che una soluzione di questo tipo non consentirà mai un canto di qualità. Come ho già anticipato, il problema riguarda la respirazione. Ma non è un problema che si risolve con esercizi respiratori, come molti ingenuamente credono, ma innescando le giuste relazioni tra fiato e strumento.

Le scuole foniatriche, e alcuni foniatri stessi, si fermano ad analisi del "suono" vocale, dimenticando o ignorando che la vocale non è un suono, ma molto di più. Cosa c'è di buono nel registro cosiddetto di petto che non c'è, o non è agevole, nel registro detto di falsetto o testa? E' la pronuncia. Il registro acuto esiste e persiste nell'uomo pressoché esclusivamente in quanto strumento di uso eccezionale, per chiamare aiuto, per imporsi, per cercare di spaventare un avversario, ecc. Tutti caratteri che non richiedono un uso sottile della pronuncia né un timbro particolarmente piacevole né un utilizzo prolungato. Provando a "parlare" nella zona acuta ci si troverà immediatamente di fronte a problemi seri, persino insormontabili. Questo molti possono pensare che sia dovuto alla meccanica dello strumento, ma non è affatto così, anche perché la meccanica articolatoria non cambia nei registri. Il problema è dovuto, guarda caso, alla respirazione. La nostra respirazione fisiologica, se pur sviluppata, non è comunque adatta e in grado di sostenere l'impegno richiesto da una pronuncia valida, vera, su tutta l'estensione. Per questo motivo possiamo dire che esercitandosi nella perfetta pronuncia nella tessitura oltre la gamma del parlato consueto, si stimolerà lo sviluppo respiratorio su tutta l'estensione. Questa azione non solo permetterà di eliminare il passaggio di registro, ma eliminirà tout cour i registri, perché in questo modo si arriverà alla formazione di quella "corda unica" potenzialmente presente in noi, di cui si è detto all'inizio.

In teoria potrei chiudere qui, ma in realtà questa semplice dichiarazione non solo non è facile, ma potrà presentare aspetti di difficoltà straordinaria, perché il nostro corpo si troverà comunque investito da un impegno fisico ancor più accentuato rispetto all'emissione di semplici suoni "simili" alle vocali. Perché pensate che di moltissimi cantanti, specie nelle donne, non si capisca un tubo di quanto dicono, pur magari emettendo suoni di notevole bellezza (vedi Sutherland)? Perché è più facile, l'istinto non avversa più di tanto questo tipo di emissione e per il pubblico odierno, che ama più il suono (che non significa niente) del testo, va bene così. Dunque se anche a voi va bene così, non esercitate la parola pura, rimanete su suoni anonimi; viceversa dovrete però considerare che i problemi che si presenteranno saranno notevoli; non posso ripercorrerli qui e non posso parlare delle soluzioni se no questo post vince ogni record di lunghezza, nonostante si tratti di una sintesi, e comunque ne ho parlato in molti capitoli, cui rimando.

PS: dimenticavo una curiosità: alcuni, che non hanno capito niente dei registri, sono riusciti a confondere questi con le posizioni del suono, cioè hanno confuso il suono cosiddetto in maschera con il suono di testa, e il suono di petto con... ? niente! cioè hanno ritenuto che il suono corretto è il suono di testa, che secondo loro è in maschera, mentre con suono di petto intendono un suono "basso", non "immascherato" quindi difettoso, ingolato o non so che altro. Lo dicevano ad es. la Barbieri e la Simionato, affermando che loro non hanno mai cantato di petto (mentre l'hanno fatto eccome, come ben conferma la Gencer), ma ovviamente intendendo che loro tenevano il suono "alto" anche sulle note basse. Pensate un po' come persino professioniste affermate e le cui parole vengono prese come oro colato possano dire strafalcioni! In questo ovviamente sono state in ottima compagnia, perché nel mondo del canto si è detto davvero di tutto e di più, e infatti cialtronaggini simili le pensava, diceva e scriveva anche Rodolfo Celletti, creando un gran caos!