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martedì, marzo 30, 2010

Tutto scorre

Uno dei problemi ricorrenti nei cantanti e a maggior ragione in chi studia, è da un lato la tendenza a trattenere il fiato che si coniuga spesso con lo spingere. Chiariamo prima di tutto questo punto. Dosare il fiato suono per suono è difficile, e riesce decisamente meglio staccandoli, cioè facendoli separatamente che non legandoli. Quando la nostra mente intende eseguire un suono (altezza, timbro, colore, volume, ecc.), comanda alle corde vocali di assumere una determinata tensione, corrispondente a quel suono. Perché il suono risulti esemplare è necessario che venga alimentato da una ben determinata quantità e pressione di fiato e che lo spazio oro-faringeo si conformi alla pronuncia, al colore, all'altezza e all'intensità di quella nota. Facendo separatamente le note ci sono migliori probabilità che queste relazioni tra fiato e apparati siano rispettate. Cosa può succedere di negativo? 1) che l'allievo nel cambio di nota ritenga che quell'intervallo richieda una dose molto maggiore o molto minore di fiato di quanto invece non necessiti; 2) che dopo aver fatto una prima nota, nella sua comprensibile tensione, non rilasci la muscolatura che sottende i vari apparati (laringeo soprattutto), e dunque questi non abbiano la libertà di assumere la forma e la posizione ideale per eseguire il secondo (e successivo) suono che dunque risulti o carente o spinto (anche dal punto di vista dell'intonazione). Al fine di una perfetta emissione, il fiato deve sempre fluire liberamente, come acqua che scorre in un tubo, tubo che si può definire inerte, cioè che non collabora e non modifica il suono stesso, ma si atteggia semplicemente alla condizione espressiva del suono, ma non ne modifica i parametri. Il trattenere il fiato è anche un fatto istintivo, perché nel momento in cui la muscolatura è rilassata il fiato appoggia completamente sul diaframma e dunque ha un peso maggiore che ne determina l'abbassamento, cosa che al nostro istinto non piace. Quando tratteniamo il fiato, la sua energia viene ridotta, e questo causa minore ampiezza della glottide (oltre che un rapporto imperfetto con la tensione delle corde), per cui potremmo dire che c'è un principio di ingolamento; oltre a ciò una carente ampiezza glottica stimola facilmente una spinta da parte dell'esecutore che avverte una resistenza entro il condotto aereo.
A questo punto vediamo i suggerimenti e le soluzioni per superare il problema, che ovviamente non possono essere semplici, generiche e uguali per tutti, però cercherò di spiegare l'atteggiamento da assumere. Come ha detto Alessandro nel suo commento, io insisto molto sul rilassamento, ma occorre chiarire bene cosa intendo. In primo luogo sappiamo che se le pareti oro-faringee non sono rilassate non permettono al suono originario di arricchirsi e di assumere il colore, il volume, ecc. desiderato. Ma prima ancora di questo è importante che la muscolatura che attiene la laringe, cioè soprattutto quella nella parte anteriore del collo, permetta alla stessa di assumere sempre la posizione più idonea alla produzione del suono. Pertanto è utile che nel cambio di nota si pensi di rilassare questo punto (e compresa tutta la muscolatura fino allo sterno). E fin qui direi che la cosa è abbastanza semplice.
L'altra questione invece, cui ho già accennato, è la confusione che nella nostra mente avviene tra fiato e muscolatura. E' infatti molto facile (e l'ho dimostrato tempo fa a un mio allievo, cui ho fatto credere di aver spostato in avanti la lingua, e invece stava correttamente facendo fluire il fiato e ha avuto un colpo quando allo specchio ha visto la sua lingua perfettamente rilassata!) pensare di muovere l'uno e invece agire sull'altra o viceversa. In questo caso il mio consiglio è di "togliere" completamente tensione dal suono. Ora, questo consiglio non è per niente semplice da mettere in pratica, e dipende molto dalla qualità dell'attacco. Quando infatti il suono è libero e l'attacco appare come staccato dal corpo, davanti e leggermente sopra la bocca, esso può essere completamente "abbandonato" a sé stesso, nel fluire del fiato (quello che si chiama anche "punta del suono"); diminuirà forse il volume, ma non perderà né ricchezza di armonici, né intensità intrinseca, né bellezza, ecc. Se però l'attacco è "dentro", cioè non completamente staccato, libero dalla gola, è evidente che è, almeno parzialmente, sostenuto dalla muscolatura, e quindi abbandonandola anche il suono cascherà o perlomeno perderà sensibilmente qualità. E' evidente che l'insegnante cosciente della situazione saprà quando consigliare di rilassare, anche facendo diminuire considerevolmente il volume e quando no. Nel primo caso l'allievo arriverà (si spera) a un punto di rilassamento (a volte con un volume prossimo a zero!) che è quello stato di rilassamento della muscolatura che richiede quel suono, anche con volume altissimo. Cioè la diminuzione del volume non è il fine, chiaramente, ma il MEZZO attraverso il quale si può far provare all'allievo a quale stadio di rilassamento occorre giungere per impedire l'intervento negativo della muscolatura nella produzione del suono.

domenica, marzo 28, 2010

La semplicità complessa

Il canto è veramente un campo dove la semplicità incredibile (e per questo da molti ritenuta impossibile) si coniuga con una complessità altrettanto cavillosa e inspiegabile. Mi capita non di rado di chiedere di cantare una vocale qualsiasi con la semplicità con cui la farebbe un bambino o una qualunque persona che non sappia niente di canto. Ebbene, non è raro che ci si impieghi MESI ad ottenere questo risultato. Questo è appunto il caso in cui la semplicità è ritenuta impossibile perché (come abbiamo già scritto in più occasioni) il canto è considerato come una procedura artificiale laboriosa, cervellotica. Per altro nei fondamenti di questa disciplina sappiamo che il nostro istinto ci guida e ci preclude delle strade, e quindi dobbiamo lottare ed esercitarci a lungo e in modo impegnativo per arginare la sua reazione, tenerla a bada, escluderla. Prendiamo ad es. il passaggio dalla I alla A. Questo passaggio è spesso causa di problemi, in quanto la forma orizzontale della I nel passaggio al verticale procura una discesa del flusso aereo e quindi perdita di giusta proiezione (ricchezza, scorrevolezza, ecc.). Il rimedio molte volte è peggiore del male! L'insegnante usa termini come: tieni su, alza... e questo genera solo tensioni. Lo stesso problema crea altri difetti, come la laringe che "balla" o il suono che va indietro a causa della presenza della gobba della lingua che devia il percorso del fiato verso la parte posteriore del faringe. E' chiaro che il consiglio meno dannoso è quello di rilassare lingua, mandibola e laringe affinché ogni organo possa occupare la giusta posizione morbidamente. Questo non risolve ancora il problema originario, perché il suono può "cadere", e dunque si consiglia di pronunciare sopra i denti superiori, nel palato alveolare. Questo, che in qualche caso riesce a portare a un buon risultato, altre volte provoca ancora difetti legati a tensioni muscolari e irrigidimenti, per una ragione semplice e antipatica. Chi canta il più delle volte non riesce a distinguere il movimento del fiato da quello di una serie di muscoli oro-faringei. Questo è anche uno dei motivi per cui si spinge, quando invece si dovrebbe solo alimentare, ma non esiste una terminologia sufficiente per procurare nell'allievo una coscienza distinta tra questi due elementi. L'esempio diretto dell'insegnante è sempre la migliore strada, ma anche così i risultati non sono sempre rapidi, e solo il tempo, il rinforzo dell'appoggio e il ripetersi di eventi favorevoli guiderà l'allievo a prendere coscienza della verità.

C'è portamento e portamento

Non è sempre facile spiegare certe apparenti contraddizioni. Si dice piuttosto spesso di non cadere, durante le esecuzioni, in portamenti, ovvero legature molto accentuate, che sono stilisticamente riprovevoli, a meno che non siano previste espressamente (spesso non è ben compresa neanche la differenza tra legatura e portamento). Il problema viene sollevato quando nel corso degli esercizi l'insegnante chiede l'esecuzione di portamenti molto accentuati, una vera e propria sirena. Ovviamente le due cose sono diverse, ma è bene spiegare. Prima cosa: il fatto di non dover eseguire frequentemente portamenti in fase esecutiva non significa non saperli fare, quindi sarebbe anche giusto eseguirla, di quando in quando, per apprendere questa prassi. Secondo: come è noto, avendone parlato più volte in questo blog, uno dei problemi cui vanno spessissimo incontro i cantanti, specie nei primi tempi, è quello di trattenere il fiato, frenarne la fuoriuscita, e questo è un difetto piuttosto serio, perché di fatto impedisce la giusta proiezione, quindi l'allargamento delle pareti e il corretto appoggio. Pertanto far passare da un suono a un altro con il portamento può essere un ottimo esercizio per "sprecare" fiato, ovvero emetterlo senza trattenimento, specie negli intervalli discendenti.

domenica, marzo 21, 2010

Il cerchio vuoto

Oggi, come ogni domenica, guardavo la trasmissione Passepartout, che parla di Arte figurativa condotta da Philippe Daverio, che apprezzo moltissimo. Oggi c'era una lunga intervista con lo scultore giapponese Azuma, che mi ha molto colpito. Parlava di Zen e Arte; nelle mie lezioni raramente o quasi mai accenno a questioni filosofiche, al contrario del mio M°, che invece quasi mai la escludeva, così come il M° Celibidache nelle lezioni di fenomenologia e direzione d'orchestra. Senza entrare troppo in argomento, ciò che mi ha colpito è stato uno dei simboli Zen, cioè il cerchio, simbolo dello svuotamento dell'anima, pronta a ricevere nuove informazioni. Una delle poesie cardini del M° Antonietti si intitolava proprio "il cerchio":
Il cerchio chiuso è silenzio
Chi ha chiuso il cerchio tace
Perché sa che è loquace
Chi ancor non ha capito.
Eppure è tanto semplice conoscere il segreto della vita:
Un tracciato che è sempre inevitabile,
Finito nelle stelle all'infinito.

Al di là di un primo significato, credo abbastanza chiaro, l'analogia con la disciplina Zen sta nel confronto tra "cerchio vuoto" e "silenzio". Per poter apprendere una disciplina artistica come il canto, è proprio necessario svuotare il nostro spirito dall'enorme quantità di stimoli e preconcetti perlopiù suggeriti dal nostro "ego", che sono in massima parte di tipo narcisistico; non si può raggiungere un livello di esemplarità in un'Arte qualsiasi se siamo dominati da pensieri di promozione individuale, concetti materiali ed economici. La condizione migliore è quella, appunto, di svuotare la propria coscienza, e affrontare la disciplina con purezza e "sete" di apprendimento.

domenica, marzo 14, 2010

Il prima e il dopo

Ho letto un articolo di Juvarra, noto insegnante di canto autore di trattati, su respirazione e appoggio, e ancora una volta ho notato che lui, come quasi tutti, commentano frasi tratte da antichi metodi di canto senza fare un importante distinguo, il prima e il dopo. Nella respirazione, in particolare, pensare che l'inizio dello studio del canto possa avere qualcosa di analogo a quando uno sarà pronto per cantare davvero, è di per sé un errore piuttosto serio, e criticare o sostenere questo o quel trattatista (sia esso Garcia, Mandl o chiunque altro)senza fare un distinguo sul momento in cui applicare un consiglio, è indice di un difetto di consapevolezza. La respirazione di uno studente ai primi approcci al canto, per quanto soggettivamente peculiare, sarà sempre gravemente deficitaria e impropria al canto artistico. Una buona scuola renderà nel tempo questa sempre più idonea e rapportata ad un canto esemplare, e quindi diversa da quella iniziale. Se noi prendiamo per buona la respirazione di, mettiamo, Alfredo Kraus, non significa che chiunque inizi a cantare debba adottare quel tipo di respirazione, perché può andare incontro a difetti anche gravi, non avendo in sè (oltre che la vocalità di Kraus)le caratteristiche di rapporto tra il canto che può esprimere e l'alimentazione corrispondente. Dunque la respirazione sarà sempre da adeguare, man mano, al tipo di vocalità espressa; pretendere da un allievo una respirazione da professionista, sarebbe una forzatura e sicuramente un errore: la sua vocalità non funzionerà. Dopo 2, 4 o più anni di studio, certamente la qualità del respiro sarà cambiata e anche l'atteggiamento o postura si dovrà adeguare. Il più delle volte ci sarà un adeguamento naturale, ma comunque sarà l'insegnante a consigliare e sollecitare quella più idonea.

venerdì, marzo 12, 2010

Il doppio istinto

In ogni nostro scritto direttamente o indirettamente entra l'istinto. E' l'artefice "in buona fede" dei nostri difetti e delle difficoltà che incontriamo nell'apprendimento di un'Arte e in particolare del canto. Non ritorneremo qui sulla funzione e le implicazioni dovute all'istinto di conservazione, perpetuazione e difesa della specie, avendone già parlato a lungo. Accennerò qui, invece, ad altro istinto, che spesso si inserisce nel discorso educativo; è quello che chiamiamo "istinto artistico" (credo possa rientrare nella sfera del "super-io"). L'uomo ha talvolta in sé una spinta, una necessità di promozione ad un livello superiore, e mette in moto stimoli e strategie per poter apprendere teorie e tecniche per superare le difficoltà e potersi affermare. E' una spinta importante, è curiosità, è quella voglia, quell'entusiasmo, quella sete di ricerca che ci porta spesso a fare follie, a cercare anche a grandi distanze chi o cosa potrà aiutare nella ricerca. Bisogna dire, però, che se questa necessità è importante o addirittura indispensabile per avere accesso alla perfezione, d'altra parte non è raro che si frapponga e crei qualche disturbo e qualche interferenza nella disciplina. Il fatto è che il soggetto "malato" di canto (in questo caso) si crea un proprio bagaglio di idee, di estetiche, di false consapevolezze, basate su ascolti, sentito dire, letture superficiali o ingannevoli, che non di rado confliggono con gli aspetti educativi della disciplina, e pongono a loro volta resistenze e talvolta anche fratture con il docente. Il quale si può trovare nella condizione di combattere non solo contro l'istinto di difesa, ma anche con quello artistico; in questo caso può trovarsi nella condizione di aggirare anche l'allievo, facendogli credere alcune cose per soddisfarlo, rivelandogli solo dopo la verità. Molti allievi ritengono che il canto lirico richieda un determinato suono, e accettino di malavoglia il passaggio attraverso suoni meno ricchi e forti. In questo, come in molti altri casi, si può cercare di convincere o di assecondare l'allievo, ma può esserci anche il caso di dover rompere il sodalizio, quando l'istinto non cede. Il maestro onesto non può scendere a compromessi, perché verrebbe meno il suo ruolo. Si può,come ripeto, girare "al largo", accondiscendere entro una certa misura, ma poi ciò che va fatto va fatto, e dunque o l'allievo si convince e si fida, o altrimenti è meglio chiudere.

domenica, marzo 07, 2010

palla al centro

Torno ancora un momento sulla questione delle note centro-basse. Esse possono costituire un serio problema per le voci gravi o medie, in quanto tutti gli allievi, ma sovente anche i professionisti, pensano che per fare le note più gravi occorra "pompare", allargare, forzare in qualche modo e cercare nel largo e nel basso. Si tratta di un inganno, di un tranello. Le note basse vengono da sole, piano piano, semplicemente allenando il parlato anche in quella zona, ed emettendo quelle note con chiarezza, piccole e badando che continuino a essere alimentate dal fiato nella zona avanzata del palato duro.E' possibile che esse per un certo tempo diano la sensazione di essere piccole e povere, ma: 1) in genere non è vero, se non vengono "spinte", si sentono anche a grande distanza; 2) le note basse, se correttamente alimentate, sono molto sonore in quanto gli armonici prodotti ricadono in gran quantità nella fascia di frequenze udibili. Il problema dei bassi riguarda, come negli acuti, il cosiddetto "calibro", cioè la larghezza dei suoni, in particolare la O, che se allargata rischia di andare verso la parte interna del palato, e quindi perdere "fuoco", brillantezza e reale appoggio. Occorre, sempre in similitudine con gli acuti, permettere solo con ampiezza verticale, al fiato, che deve far vibrare una corda piuttosto pesante, di sfogarsi in uno spazio adeguato.

sabato, marzo 06, 2010

"Fai un salto, fanne un altro..."

Nella scansione un po' stereotipata degli esercizi di canto, si dà poca importanza ai salti verso il basso. Tutto è visto un po' come una corsa verso gli acuti, e in effetti la cultura lirica è molto improntata al possesso di buoni acuti, spesso trascurando il resto. Ma anche in quest'ottica, occorre ricordare che una sana vocalità, quindi anche la sicurezza nella tenuta degli acuti, è basata sulla saldezza dei centro-bassi. Ci sono, poi, persone con centri già naturalmente equilibrati e ben risonanti, ma la maggior parte degli aspiranti cantanti è spesso affetta o da centri sfocati, poveri, o ingolati e forzati o ancora pompati, volgari, schiacciati. I centri non si devono allargare, così come gli acuti; un suono basso col giusto calibro potrà, inizialmente, sembrare "piccolo", non rapportato al resto della voce, ma non è così; anche questa è una falsa dimensione istintiva, che non va seguita. Per dare il giusto peso, calibro e ampiezza ai centri e bassi, oltre agli immancabili esercizi sul parlato può essere estremamente utile fare esercizi di salto all'indietro, cioè partendo da note centro-acute. In questo genere di esercizio verranno fuori immediatamente gli istinti soggettivi, che guideranno verso l'allargamento, la forzatura delle note più basse, che l'insegnante guiderà, invece, a equilibrare e omogeneizzare. Un certo tempo impiegato in esercizi di questo tipo farà nascere negli allievi una consapevolezza importante sul calibro (o dimensione) da dare ai suoni (specie la O), farà consolidare la percezione del punto giusto di risonanza (che poi è sempre il solito) e impareranno ad ascoltare meglio il proprio suono (esternamente) basso, da non confondere con i suoni rimbombanti interni che sono solo un appagamento narcisistico istintivo.

lunedì, marzo 01, 2010

Il picchiettato

Come è noto, ma rivediamo in sintesi, tre sono le strade che ci consentono di aggirare, sorprendere, ingannare l'istinto onde prevenirne le reazioni durante il canto. Una è rappresentata dal peso, l'altra dall'assenza di peso, la terza dall'agilità. L'esercizio che meglio rappresenta quest'ultima via, è quello basato su suoni "picchiettati". Vediamo quali siano i vantaggi, gli aspetti più interessanti e quali eventuali le controindicazioni. I picchiettati sono suoni di brevissima durata eseguiti di seguito ma intervallati da altrettanto brevi stacchi. Il suono, che può anche avere una certa intensità, suscita l'allarme dell'instinto, che però non reagisce in quanto il suono immediatamente cessa, per cui: 1) non ha il tempo per organizzarsi; 2) viene a mancare la causa. Questo è il primo vantaggio. Il fatto che tra un suono e l'altro vi sia un seppur minimo intervallo, consente ai muscoli faringei e della laringe di rilassarsi preparandosi al suono successivo. Questo è un ulteriore e ottimo vantaggio, che è molto più difficile ottenere in vocalizzi legati. Ce n'è poi uno specifico molto importante: non è possibile eseguire una scaletta di suoni picchiettati "gonfiando" i suoni, cioè appesantendoli indebitamente. Questo vale per chi vuole ingrossarli e appesantirli volontariamente, ma anche per coloro che non sapendo ancora dominare la propria vocalità, non sanno dare gradualità, e quindi spingono e ingrossano già a partire dai centri. Mediante l'agilità picchiettata è possibile avvertire il giusto calibro dei vari suoni della scala, che si potranno poi portare nell'esercizio legato. Ancora due vantaggi: il giusto attacco dei centri e la mobilità laringea. Sul primo, molto si prodigava Giacomo Lauri Volpi, seguendo le regole del m° Cotogni, e condivido, in questo caso, il concetto tecnico. Molti cantanti per vizio personale o cattiva scuola, tendono a ingrossare i centri, rendendo difficoltoso il passaggio e disomogenea la gamma. In questo caso è consigliabile far attaccare una nota acuta (non troppo) e scendere di qualche tono, meglio se in picchiettato. In questo modo si troverà con facilità il giusto calibro del suono centrale, e facendolo picchiettato non si corre il rischio che la reazione diaframmatica causi spoggi o forti pressioni sottoglottiche. Tra l'altro è anche un ottimo esercizio per rendere insensibile il passaggio. In ultimo accenniamo a una questione tutt'altro che secondaria. Onde arrivare a possedere una eccellente agilità nel canto, è necessario che la laringe "fluttui" nel condotto faringeo, senza interferenze muscolari. Su questo torneremo, eventualmente, perché ci sono da fare alcuni osservazioni in merito. Diciamo comunque che il picchiettato, eseguito con le labbra tese, senza abbandonare, permette alla laringe di spostarsi rapidamente ed elasticamente, permettendo anche agilità notevoli come il ribattuto.
In sintesi, per una buona esecuzione occorre: ampia apertura verticale della bocca (se fatto su una vocale singola, altrimenti occorre adattarla), labbra tenute, giusto calibro.
Ecco, non ho detto che l'esercizio si può fare in molti modi, sul parlato, su vocali varie o su una singola, a velocità media o rapida. E' necessario il controllo continuo sull'intonazione, perché è molto facile da fallire, e occorre indispensabilmente non consentire la ripetizione di suoni difettosi, compresi quelli stonati anche di poco. Non proseguire quando più di un suono non viene corretto.
Quali sono i possibili svantaggi e quindi da cosa guardarsi? Cominciamo col dire che deve essere l'insegnante a dire quando è il momento di farli, perché esistono una serie di piccoli difetti che col picchiettato possono ampliarsi, invece che risolversi. Dunque: il picchiettato può stancare presto mente e corpo; quindi non fare lunghe sessioni, e non farlo da soli se non dietro specifico parere dell'insegnante. E' bene non salire mai troppo, anche se è un tipo di esercizio utile anche per sorprendere acuti solitamente ostici, ma toccare e scappare e non ritentare, alla lunga può favorire lo spoggio.
Il picchiettato può essere assai utile alle donne per dare uguaglianza al tratto di passaggio petto falsetto, quindi è assai indicato, e in quel tratto può anche essere utilizzato da soli, specie sulla U.